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“Il significato dell’apostolato”

a cura di P. Michael Ryan LC .
L’ etimologia della parola “apostolato” ci offre degli spunti interessanti per introdurre il tema della terza missione. La parola deriva da “apò” che significa “da” indicando separazione e/o allontanamento e da “stéllo” che significa collocare. La parola composta perciò significa “non essere collocato”, “non avere un luogo fisso” e da lì viene il significato anche di “essere inviato”. Non è difficile vedere qui l’origine del concetto di Papa Francesco quando parla di una “chiesa in uscita”. Allo stesso modo ci riporta alle parole di Cristo prima dell’Ascensione (Mc 16,15-18) Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo. Anche la terza missione dell’Università si rifà a questa convinzione, che il bene che si crea tra le mura dell’Ateneo è chiamato ad “uscire”, a “non avere un luogo fisso”, richiamando anche quel principio della filosofia: “bonum est diffusivum sui”, il bene si diffonde. Un’altra dimensione dell’azione che noi chiamiamo “apostolato” e che la illumina molto, è la sua dimensione “teandrica”. Questo termine si adopera per comprendere come l’azione di Cristo, ha carattere divino e umano insieme. Questo carattere in forma analoga si può applicare alle azioni della Chiesa e degli apostoli. Così la terza dimensione dell’Università porta frutti misurabili empiricamente ma, da un altro punto di vista, saranno feconde in una dimensione trascendente e valide “per la vita eterna”. La consapevolezza di questa duplice carattere può dare agli operatori una marcia in più, una motivazione permanente per superare le difficoltà inevitabili, la stanchezza e la tentazione di turno. In questa linea non è superflua l’analisi del Papa Francesco sulle “tentazioni” che assediano le opere di apostolato, tra le quali stiamo annoverando anche la terza missione. Vengono descritte in dettaglio nell’Esortazione Evangelii gaudium (nn. 78-100),  alcune di esse sono: egocentrismo con una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, sfiducia e un certo disincanto per cercare di fare il bene, il grigio pragmatismo della vita quotidiana che si va degenerando in meschinità, un senso di sconfitta prima ancora di cominciare, narcisismo e individualismo che impedisce le relazioni produttive con gli altri, individualismo e incapacità di stare con gli altri. Che la nostra terza missione si caratterizzi da uno spirito positivo e di grandi ideali in favore dell’uomo, nella sua concretezza, può sembrare utopistico. Paolo VI invitava ad essere “medici” della civiltà che vogliamo e sogniamo, una “civiltà dell’amore”. E rispondiamo anche con lo stesso Papa alla tentazione di pensare che una terza missione sia una fantasticheria. Diceva il pontefice: “Sogniamo noi forse quando parliamo di civiltà dell’amore? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri. Per noi cristiani, specialmente. Anzi tanto più essi si fanno urgenti e affascinanti, quanto più rumori di temporali turbano gli orizzonti della nostra storia” (Udienza, 31 dicembre 1975). Lavoriamo affinché questo sia l’atteggiamento di tutte le persone che faranno reale ed efficace la terza missione dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.

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