Germán Sánchez Griese – IL “DOLCE VELENO” NELLE VIE DELLO SPIRITO

La vita dello spirito non va intesa come una serie di conoscenze, di norme da seguire e neppure come una vita che dia il primato alla psiche. Sono due tendenze opposte, che danno origine a spiritualità contrarie, ma che vale la pena di chiarire per evitare errori, sempre possibili, nella concezione della spiritualità.

La prima tendenza, quella di vedere la vita dello spirito ridotta a una serie di pratiche o norme, è l’eredità di un passato in cui si dava forse troppa importanza a norme, orari, rigidità nella vita religiosa. Possiamo dire che si pensava che, osservando queste regole, orari e disposizioni, si produceva la vita dello spirito. Sarebbe una sorta d’automatismo in cui l’ascesi, la mortificazione, l’acquisizione delle virtù assicuravano la vita dello spirito. Leggiamo a proposito cosa dice un autore spirituale contemporaneo: “Infatti, se la vita spirituale è intesa come attivittà intellettuale, allora basta aderire a determinati presupposti dottrinali, osservare certi principi, seguire una determinata logica, compiere precise pratiche ‘spirituali’.” Logicamente ci rendiamo conto che tale posizione non è del tutto corretta, dato che la vita dello spirito non consiste in un sapere, ma piuttosto in un essere. È stata forse un po’ la visione del passato, specialmente in alcuna Congregazioni religiose che vivevano l’osservanza della regola, ma non il suo spirito.

Dall’altro lato, come in un pendolo, c’è la posizione psicologica. “Ad una spiritualità disincarnata, astratta e concettualista, risponde una spiritualità del ‘sentire’. Conta solo ‘come ci si sente’. Ad una direzione spirituale impositiva si reagisce con un counseling psicologico, di solo ascolto, dove è meglio non dire, non intervenire mai. Nella spiritualità di tipo gnostico si sottovalutava o si ignorava la realtà psicologica. L’impostazione era a tinte forti, senza tante sfumature: la vita spirituale era il frutto della volontà, dell’esercizio costante e dell’ascesi. (…) oggi assistiamo all’eccesso opposto: sembra quasi che, se non si tiene conto del subconscio e della storia psicologica dell’individuo, la vita spirituale sia praticamente impossibile.”

Di fronte a questo dualismo dobbiamo concentrarci sulla vera conoscenza del concetto di vita spirituale per aiutare la donna consacrata a trovare la propria spiritualità, basata sul carisma della Congregazione o istituto religioso. La vita spirituale non è altro che la vita dello spirito, cioè giungere a che la donna consacrata viva la stessa vita di Dio, come abbiamo spiegato prima. Non si tratta di rinunciare alle proprie capacità umane, né dare il primato ad una delle proprie dimensioni, la spirituale, a dispetto delle altre due, la fisica e la psichica. Si tratta piuttosto di fare in modo che la donna consacrata incontri Gesù Cristo e faccia di quest’incontro un’esperienza di vita e viva attraverso quest’incontro personale. Sarà esso che si cercherà di favorire, di ravvivare ogni giorno; per questo si potranno usare diversi mezzi. Esiste un’unità tra l’esperienza reale dell’incontro con Dio e i mezzi per proseguire tale esperienza nel corso della vita. È precisamente in quest’incontro personale con Dio in cui la donna consacrata trova il senso ultimo della propria esistenza, cioè la speranza. È in tale incontro che si verifica la comprensione di quella che è la vera sostanza della vita, la speranza. “La fede conferisce alla vita una nuova base, un nuovo fondamento sul quale l’uomo può poggiare e con ciò il fondamento abituale, l’affidabilità del reddito materiale, appunto, si relativizza. Si crea una nuova libertà di fronte a questo fondamento della vita che solo apparentemente è in grado di sostentare, anche se il suo significato normale non è con ciò certamente negato. Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova « sostanza » che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell’ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo. Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell’antichità fino a Francesco d’Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l’amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell’anima. Lì la nuova « sostanza » si è comprovata realmente come « sostanza », dalla speranza di queste persone toccate da Cristo è scaturita speranza per altri che vivevano nel buio e senza speranza. Lì si è dimostrato che questa nuova vita possiede veramente « sostanza » ed è una « sostanza » che suscita vita per gli altri.”

Possiamo mettere a fuoco il problema utilizzando una terminologia che finora ha causato un po’ di confusione. Le due componenti della vita dello spirito sono mistica e ascetica. Per vita mistica s’intende l’e con Dio. L’ascetica è la scienza teologica che tratta degli sforzi della donna consacrata per giungere alla perfezione, mentre l’ascesi è l’esercizio in senso stretto. Si stabilisce pertanto un’unità tra di essi, non una contraddizione. Se abbiamo detto che la vita spirituale è vivere la stessa vita di Dio, a partire da un’esperienza personale con Dio, dobbiamo in primo luogo ottenere che la donna consacrata faccia quest’esperienza di Dio. Questo corrisponde alla mistica. A nulla serviranno le orazioni, gli esercizi di pietà, le pratiche piene di fervore, se la donna consacrata non ha incontrato Dio o non ne ha fatto esperienza personale. Questo è un punto essenziale per recuperare il vero senso della consacrazione. Poi seguirà logicamente la continuazione di quest’incontro, dato che, come parte di un innamoramento, non basta un primo incontro, ma bisogna nutrire e accrescere quest’incontro. Qui inizia la parte dell’ascesi.

Il lavoro che la donna consacrata deve realizzare per tornare al senso originario della propria consacrazione, è pertanto duplice: un lavoro di mistica o incontro personale con Dio, fare l’esperienza personale dello spirito, e di ascesi, per individuare l’azione di Dio nella propria vita, favorirla e così fare memoria ed attualizzare costantemente l’esperienza personale con Dio che lo porta a porre la sostanza della propria vita nella speranza.

Tale duplice esperienza la realizza non solo con un lavoro meramente intellettuale o volontaristico, ma a partire da una base vitale. Cioè che la donna consacrata deve imparare a tendere sempre a Dio per giungere a fare l’esperienza personale dello spirito e attualizzarla nel corso della vita, in modo che sia la speranza la forza verso cui tende tutta la vita. Tale esperienza spirituale si realizza una volta per sempre, ma dev’essere costantemente attualizzata. Ci troviamo al crocevia del lavoro spirituale che da sempre ha accompagnato il cristiano, cioè stabilire quello che spetta a Dio e quella che aspetta all’uomo, dato che non tutto può essere ridotto ad un aspetto volitivo intellettuale e neppure ad un sentimento affettivo o emotivo.

A parer mio tale dilemma può essere risolto quando il cristiano si trovi in un atteggiamento interiore di costante ricerca, in ogni momento e circostanza, del fine ultimo, cioè quello per cui venne creato. Tale tendenza non è un semplice promemoria, ma un atteggiamento interiore che nasce dall’esperienza dello spirito e s’attualizza ad ogni passo, in ogni momento o circostanza della vita quotidiana. Non sarà qualcosa di forato, ma di connaturato alla persona, se ella ha fatto e continua a fare l’esperienza dello spirito.

Germán Sánchez Griese

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