Germàn Sànchez Griese – LA FORMAZIONE NEL MAGISTERO DELLA CHIESA

Dopo aver analizzato a grandi linee l’importanza che il Concilio Vaticano II ha dato alla formazione, vista come un processo continuo che permette l’assimilazione dei sentimenti di Cristo, in questo capitolo ci soffermeremo per analizzare il concetto stesso di formazione secondo i dettami del Magistero della Chiesa. Il concilio Vaticano II ha aperto grandi possibilità al mondo religioso femminile permettendogli d’inserirsi nel mondo attuale con l’obiettivo di rialzarlo e raggiungere così la salvezza attraverso l’ascolto e la messa in pratica del Vangelo. Un compito per nulla facile, se consideriamo le situazioni attuali del laicismo e del relativismo che caratterizzano la società di oggi, soprattutto nella società occidentale in Europa e in America. Un compito che richiedeva alle religiose una conoscenza del mondo e dell’uomo, senza escludere la profonda conoscenza del proprio carisma, e delle grandi possibilità umane e spirituali che la stessa vita consacrata porta in sé. Si trattava di riscoprire le ricchezze che Dio aveva donato con la Vita Consacrata, affinché queste stesse ricchezze potessero essere distribuite agli uomini e alle donne che si avvicinavano alla vita consacrata.

Il decreto Perfectae caritatis contemplava già la formazione come un mezzo privilegiato per un adeguato rinnovamento: “L'aggiornamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei loro membri.” . Molti istituti organizzarono una formazione che fino a quel momento terminava con il noviziato. Varie iniziative furono messe in atto, e senza ridurre la realtà e cercando di essere il più sintetici possibile, possiamo dire che si riscontrarono alcune delle seguenti posizioni.

Una posizione sarebbe quella verificatisi in quegli istituti che hanno scelto come base della formazione quella d’imparare a relazionarsi con il mondo. Animati forse dal legittimo desiderio di adattarsi il meglio possibile alle situazioni in fase di cambiamento in quell’epoca, e resosi conto che nel corso degli anni erano rimasti ancorati in un passato che non rispondeva adeguatamente ai bisogni degli uomini così si impegnarono ad aggiornarsi cercando solamente un adeguamento esterno, non iniziando con un profondo rinnovamento interiore, come raccomandava lo stesso decreto Perfectae caritatis “Essendo la vita religiosa innanzitutto ordinata a far sì che i suoi membri seguano Cristo e si uniscano a Dio con la professione dei consigli evangelici, bisogna tener ben presente che le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale. A questo spetta sempre il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato.” Le conseguenze di questa posizione ebbero effetti non piacevoli, perché sebbene vi fu un adattamento esterno delle persone consacrate e delle loro istituzioni, ma non vi fu un rinnovamento interiore, quindi in molti casi venne meno la struttura spirituale della persona e delle opere. Si verificò un cambiamento esteriore e non delle fondamenta. Risulta emblematico a riguardo il n.32 del documento Religiosi e promozione umana “Una rilettura, in questa luce, dei criteri conciliari di rinnovamento dimostrerà che non si tratta di semplici adattamenti a certe forme esteriori. E' un'educazione profonda, di mentalità e di stile di vita, che renda capaci di rimanere se stessi anche in modi nuovi di presenza. Presenza sempre « da consacrati », che orientino, con la testimonianza e le opere, la trasformazione delle persone e della società nella direzione del Vangelo”

Una seconda posizione si può osservare in quegli istituti di vita consacrata che senza fare un’analisi dell’uomo moderno e della società, e allo stesso modo senza aver fatto un adeguato rinnovamento spirituale di vita, di abitudini dei membri dell’Istituto si sono lanciati semplicemente a copiare e  mimetizzare nei comportamenti. In molti di questi casi si diedero anche applicazioni della abitudini del mondo. Si pensava che assumendo detti cambiamenti si era riusciti a raggiungere automaticamente l’adeguato cambiamento suggerito dal Concilio Vaticano II. Se ancora oggi queste istituzioni non si sono resi conto dell’errore commesso, continuano a copiare e  adattare usi e costumi di altri istituti o di alcuni scrittori della vita consacrata. Non arrivano mai a fare uno studio critico, reale, e profondo della propria realtà. Si conformano a ciò che fanno gli altri correndo il rischio di commettere gli stessi errori che hanno commesso gli altri.

Un’altra posizione che si può osservare è quella di quegli istituti che rendendosi conto degli errori commessi da altre congregazioni religiose guidati da un semplice senso di autoconservazione si sono ripiegati in se stessi e sono rimasti fossilizzati nelle loro abitudini culturali già superate , perdendo  la freschezza, l’audacia e il vigore che avrebbe permesso d’incidere nel mondo attuale.

Infine vi sono quegli istituti di vita consacrata che con fatica e difficoltà si sono impegnati innanzitutto a rinnovare la vita spirituale dell’Istituto e dei suoi membri, attraverso un’adeguata conoscenza e attualizzazione del proprio carisma. Hanno stabilito un dialogo con il mondo non come regola fondamentale del rinnovamento ma come conseguenza logica di un rinnovamento spirituale. Con la ricchezza del proprio carisma, scoperto e attualizzato, hanno cominciato a trasmettere tale ricchezza alle nuove realtà, raggiungendo così la creativa fedeltà suggerita da Giovanni Paolo II.

Una volta descritte le diverse posizioni che si sono date nella vita consacrata ci rendiamo conto dell’importanza che ha la formazione per ogni persona consacrata. Possiamo dire senza paura di sbagliarci, la religiosa è ciò che è stato il suo percorso formativo. Chi si è formato solo per dialogare e adattarsi al mondo, termina per dialogare e conformarsi al mondo, perdendo l’orizzonte spirituale della sua congregazione, chi non si forma e copia solo mode a abitudini di altri istituti e della società moderna, termina col perdere la sua personalità diluendosi in comportamenti contraddittori alla sua consacrazione. Chi non si forma finisce col ripiegarsi in se stessa, perdendo efficacia e zelo apostolico. Infine chi si forma adeguatamente conosce se stessa, conosce le sue capacità, i suoi limiti, le sue potenzialità in modo tale da metterle al servizio dell’evangelizzazione dell’uomo di oggi. Essendo la formazione la base essenziale, ma non solo del rinnovamento, ma della stessa vita consacrata, consapevoli che una persona consacrata è costituita dalla sua formazione, è importante per la superiora e la formatrice conoscere il concetto e le linee guida della formazione, perché come abbiamo avuto modo di dire, nelle formazione si gioca l’essenza della vita consacrata. Sono molti i manuali, gli studi, i testi che studiano l’essenza della formazione. Il nostro obiettivo quindi in questo capitolo non sarà quello di analizzare dette fonti ma di fare un’analisi di ciò  che ha detto il Magistero sulla formazione. E non disprezzando quest’altre fonti che hanno dato origine a tutto questo processo di rinnovamento delle vita consacrata. Di fronte a un relativismo che si è infiltrato perfino nella Chiesa e in ampi settori della vita consacrata femminile, vogliamo presentare il pensiero del Magistero della Chiesa sulla formazione, non perché vogliamo uniformare le menti, ma illuminarle con una sana dottrina in modo tale che le superiore e le formatrici possano avvalersi prima di tutto di sussidi per la formazione e avere così la possibilità di entrare in dialogo con il mondo e di contraddire le varie posizioni che oggi sono in voga e sembrano vogliano confutare il Magistero della Chiesa.

 

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