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Dal “romanzo del telelavoro” alla tragedia che lo ha fatto diventare realtà

di Guelfo Tagliavini

Presidente Tesav , Consigliere Fermanager e membro consiglio direttivo Value@Work

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Non avrei mai voluto iniziare questo mio intervento al Value@Work Open Talks del 16 aprile u.s. " Lo smartworking al tempo del covid-19", con la frase,  attribuita a Socrate “ tanto tuonò che piovve”.

Eppure per assistere, nel nostro Paese, all’applicazione di una modalità innovativa di lavoro già peraltro sviluppata da anni nella stragrande maggioranza dei paesi europei e nelle economie avanzate dell’Asia e degli USA, ci è voluto un evento drammaticamente straordinario.

Non abbiamo ancora finito di contare i morti di questa orribile pandemia che ha messo in ginocchio la tenuta sociale del mondo intero e tuttavia stiamo doverosamente pensando a come ricostruire il nostro futuro e quello delle prossime generazioni.

La necessità di ridurre, per quanto possibile, il proliferare dei contagi del coronavirus e l’inevitabile esigenza di far sopravvivere un sistema economico in grado di fare fronte alle esigenze primarie della collettività ha richiesto, in modo affannoso e disordinato, di fare ricorso a quella che per la quasi totalità delle imprese di produzione e servizi private e della Pubblica Amministrazione era stata considerata una formula o peggio uno slogan.

Mi riferisco ovviamente a quelle modalità di lavoro, svolte da remoto, definite come Telelavoro, Lavoro agile, Smart working, Home working…..

Tutte “diavolerie” che visionari del digitale e dell’innovazione tecnologica hanno continuato a promuovere, per anni, come “voci nel deserto”.

Il più delle volte incompresi, spesso derisi. Non potrò mai dimenticare la frase che un mio amico, compagno di un viaggio intrapreso qualche anno fa da Chicago a Los Angeles percorrendo la mitica route 66 ed al quale avevo prospettato i vantaggi dell’applicazione anche nel nostro Paese di soluzioni innovative di lavoro e l’intenzione di scrivere un saggio a riguardo:

-Caro Guelfo, lo smart working nel nostro Paese? E’ un sogno. Ed io gli risposi: -Caro Lucio, un sogno che presto diverrà realtà. Eravamo nell’estate del 2012.

Siamo nel 2020 e prima di questa inaspettata tragedia ovvero fino a poco più di tre mesi fa l’utilizzo di piattaforme idonee ad abilitare modalità di lavoro a distanza erano quasi del tutto sconosciute. Basti pensare che le percentuali di utilizzo di soluzioni compatibili con i criteri dello smart working non superavano, nell’ambito delle imprese private, la quota del cinque percento e questo solo grazie alla spinta messa in atto da grandi aziende industriali a vocazione ICT espressione di gruppi multinazionali da anni strutturati secondo innovativi criteri di lavoro.

Giova a riguardo sapere che, nel nord Europa la media di utilizzo di modalità di smart working è dell’ordine del venti percento e che nell’America del nord raggiunge percentuali che sfiorano il quaranta percento. Ma per rimanere nel nostro Paese, segnalo che già qualche anno fa mi resi promotore, con la mia società e in collaborazione con Federmanager e l’Università di Roma Tor Vergata, di uno studio sulle nuove tipologie di lavoro facilitate dall’uso di tecnologie digitali. Da detta indagine risultò che, se avessimo portato la percentuale complessiva di quello che allora era definito “telelavoro” dal 3/4 percento al 6/7 avremmo avuto un risparmio complessivo sociale ed individuale nell’ordine di oltre cinque miliardi di euro all’anno in maniera crescente ed a in ragione della “popolazione” impegnata secondo i nuovi criteri di lavoro.

Ricordo che era il periodo in cui si stavano affannosamente cercando risorse con grande enfatizzazione delle iniziative di “spending review. Chi non ricorda Cottarelli e le sue proposte di tagli.

Devo purtroppo calare un velo pietoso su quanto, in materia di nuove metodologie di lavoro, è stato realizzato dalla P.A. centrale e locale.

In questo caso l’adozione di modalità di “telelavoro” ribattezzato “lavoro agile” quindi lavoro prevalentemente se non esclusivamente gestito dalla dimora del collaboratore, ha rappresentato una lunga e sterile fase di sperimentazione.

Qualche timida accelerazione ci fu con i provvedimenti della ministra Madia che tentò di definire un obiettivo di impiego di telelavoro nella misura del 10 percento dei dipendenti pubblici che si sarebbe dovuto raggiungere, in condizioni normali, entro il 2019. Fu poco più di un fuoco di paglia che si spense tra gli intoppi  burocratici e le resistenze sindacali di varia tendenza.

Solo con la legge 81 del Marzo 2017 si è cercato di predisporre un piano organico che potesse consentire di avviare consistenti programmi e progetti di applicazione di modalità innovative di lavoro.

Ma fino a qui la storia rileva come, anche in questo campo come in molti altri, sia forte la resistenza al cambiamento nel nostro Paese.

Ma veniamo all’oggi.

Dalla metà di Febbraio di quest’anno, data in cui abbiamo cominciato a registrare le prime vittime del Covid 19, l’azione del Governo tra i vari provvedimenti d’urgenza e i numerosi DPCM, ha “prescritto”, ove compatibile con le caratteristiche produttive e con le modalità di erogazione dei servizi che il personale di aziende pubbliche e private dovesse continuare ad operare senza recarsi sul posto di lavoro ed applicando quindi criteri di lavoro a distanza.

E’ stato, da tutti, sdoganato il termine “SMART WORKING”.

Mai come in questo periodo, media specializzati e non hanno diffuso dati, statistiche, sondaggi e prontuari di uso “fai da te” allo scopo di spiegare i benefici derivanti dall’applicazione di modalità di lavoro basate non più sulla presenza fisica in una specifica sede di lavoro bensì dal risultato prodotto dal singolo lavoratore per effetto dell’impiego delle proprie competenze.

All’improvviso tutte le remore culturali avanzate e sostenute da più parti per avvalorare che fosse “contro natura” erogare una prestazione professionale qualificata in assenza di un ufficio assegnato e dotato di scrivania, poltrona girevole, PC da tavolo e magari porta penne e cornice porta foto, sono svanite……

Fino a qualche giorno fa era impensabile che si potesse concepire una normale attività lavorativa senza che ci fosse, come corollario, qualche ora di viaggio al giorno tra metro, treni, autobus e mezzi privati destinata ad una continua transumanza tra periferie e centro di agglomerati urbani o peggio tra aree extraurbane e cuore delle città.

Era assurdo pensare che una nuova modalità di lavoro potesse garantire una migliore qualità della vita fatta di impegno professionale ma anche di spazi di libertà da destinare alla propria sfera personale; tutti valori che le nuove generazioni mettono al primo posto nella scelta, quando possono farla, di un lavoro e di una professione.

Ma tant’è, siamo direi purtroppo ed al tempo stesso finalmente partiti adottando inevitabilmente nuovi criteri di lavoro.

Ma non è tutto risolto, certo alcune barriere sono cadute ma ancora altre ostacolano una corretta applicazione del lavoro per obiettivi.

Un primo ostacolo è certamente determinato dalla “rete”.  L’autostrada telematica sulla quale fare viaggiare, con velocità e sicurezza,il frutto del nostro lavoro basato sull’erogazione di servizi attraverso l’utilizzo di dati sempre più corposi e sensibili.

Altro ostacolo è rappresentato da quella che definiamo, per semplicità, infrastruttura tecnologica abilitante, quella miriade di strumenti e device in grado di consentire la vera e propria elaborazione del lavoro quotidiano.

Sia la rete che le dotazioni tecnologiche hanno necessità di essere opportunamente estese ed integrate se vogliamo garantire adeguate prestazioni ed elevati standard di sicurezza nell’uso di dati spesso riservati che impattano sulla nostra privacy.

E’ quindi necessario che una cospicua quantità di investimenti, solo in parte previsti da cosiddetto Piano Impresa 4.0, vengano destinati, rapidamente, per il completamento delle reti di telecomunicazioni a banda larga e per l’avvio di progetti per la realizzazione di reti di nuova generazione( 5G).

Al tempo stesso si dovrà aiutare il sistema produttivo nazionale caratterizzato da piccole e medie imprese attraverso la messa a disposizione di investimenti a fondo perduto da utilizzare per l’ammodernamento delle infrastrutture tecnologiche di base (reti lan, centrlini tlc, router, sistemi di video audio conference, devicies…) necessari per consentire scambi di informazioni in tempo reale ed erogazione di servizi professionali senza limiti di spazio e di tempo.

Parliamo per ultimo di quello che forse è il  più delicato ostacolo che ancora si frappone tra una concezione tradizionale del lavoro e i nuovi criteri ai quali siamo tenuti ad uniformarci.

Parlo della “formazione” una formazione che coinvolga un’ampia platea di lavoratori impegnati nei vari settori del nostro sistema Paese.

E’ necessario sostenere con adeguati provvedimenti legislativi piani e progetti di formazione che trovino l’avvio nei programmi scolastici di ogni ordine e grado e diventino uno strumento di aggiornamento continuo in linea con l’evoluzione delle tecnologie e la digitalizzazione dei processi.

Sarebbe delittuoso che settori strategici per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese quali:

Finanza,Aerspazio,Domotica, ICT,Sanità,Agroalimentare, Logistica,Trasporti, Energia, Previdenza , Automotive, Siderurgia, Ricerca, Istruzione…….

non dovessero essere sostenuti da adeguati programmi di formazione in grado di far recuperare il tempo perduto; ricordiamo che il gap tra quanto richiesto dal mercato e quello che siamo in grado di mettere a disposizione dello stesso si aggira oggi intorno alle 300.00 unità. Unità  con competenze qualificate che siano in grado di operare secondo i più evoluti criteri e sistemi di lavoro che ci auguriamo non abbiano altre battute d’arresto.

Considerazione finale; evitiamo il “fai da te”. Evitiamo che dopo tanti anni di oblio sulle tematiche dei nuovi criteri di lavoro ora si cada nella tentazione dell’improvvisazione.

Non si pensi di fare smart working soltanto scaricando qualche piattaforma di audio video conference o dando impulso all’uso o abuso di e-mail o whats app.

Lo smart working è il “nuovo lavoro” va affrontato con tempestività ma anche con grande attenzione e serietà, richiede un cambio di paradigma, una diversa valutazione delle priorità, nuove modalità di gestione, diversi rapporti tra i vari livelli gerarchici, nuovi criteri di controllo degli obiettivi assegnati, riservatezza nell’uso dei dati.

Evitiamo che una scorretta interpretazione ed applicazione di modalità di smart work possano compromettere l’avvio di un’ auspicabile nuova era .

Un a corretta progettualità delle varie fattispecie di lavoro in modalità innovativa da introdurre nei vari comparti produttivi farà sì che si pervenga all’innalzamento dei livelli di produttività ed all’incremento degli standard di qualità della vita dei lavoratori coinvolti e dell’intera società.

Roma 16 Aprile 2020

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