Dalle neuroscienze alla neuroetica: per una libertà più umana
di: Prof. Alberto Carrara L.C.
Alla fine del 2014 veniva pubblicato un libretto tascabile di 161 pagine intitolato La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, edito da Carocci editore. L’autore è Piergiorgio STRATA (1935-), un neurofisiologo d’eccezione, presidente dell’Istituto nazionale di neuroscienze e direttore del prestigioso EBRI, l’European Brain Research Institute, che collaborò nella sua carriera con il premio Nobel per la Medicina John Eccles a Canberra e Chicago e con Rita Levi-Montalcini in Italia1. Il volume si presenta come un
lungo viaggio per indagare la mente e le cause dell’oscurantismo che in passato si è opposto al suo studio: dal dualismo di Cartesio alla scoperta della mente inconscia, fino alle attuali conoscenze sui fondamenti biologici di fenomeni quali la socializzazione, l’amore, l’emarginazione, l’aggressività e il piacere di odiare. Un viaggio che non trascura l’emergere della coscienza e l’illusione del libero arbitrio: temi di filosofia morale e della mente rivisitati alla luce delle nuove teorie, con le immancabili ricadute sul sistema giudiziario2.
Un libretto che sostiene l’illusione del libero arbitrio (willusionism). In queste poche righe vi è tutto un condensato di concetti, visioni antropologiche, interpretazioni filosofiche, teologiche, sociologiche, ma anche giuridiche ed etiche che dovrebbero venir esaminate e prese in considerazione da un punto di vista critico. In un’era neuro-centrica come la nostra, tutto l’umano si trova a doversi confrontare con gli sviluppi e le scoperte delle neuroscienze e le conseguenti applicazioni neuro-tecnologiche.
Per sostenere il “mito” della libertà individuale e personale, Strata illustra alcuni esempi emblematici nella storia delle neuroscienze. Tra questi viene citato il noto caso di Phineas Gage che nel 1848, a seguito di un incidente mentre stava costruendo una ferrovia nel New England, una sbarra di ferro gli entrò nell’orbita dell’occhio sinistro attraverso la guancia e forò la base del cranio per uscire dalla parte superiore della corteccia orbitofrontale (OFC). Gage, sopravvissuto all’incidente, cambia di personalità: non era più Gage! Questo caso, rappresenta il modello di alterazione delle personalità e del controllo del comportamento indotto da un esteso danno frontale capace di disinibire i freni corticali rispetto al sistema limbico sottocorticale che media le emozioni e gli istinti (in questo caso una de-regolazione bottom-up). Un secondo caso celebre è quello denominato e studiato da Antonio Damasio nel 1995: il paziente Elliot. Quest’ultimo, per un danno frontale, manifestava una notevole asocialità e una quasi totale assenza di emozioni ed empatia. Strata si domanda se orrendi serial killer come il cannibale di Milwaukee (Jeffrey Lionel Dahmer) che uccise in modo atroce almeno 17 persone, potesse risultare non capace di intendere e di volere o, quanto meno, non gli potesse venir ridotta la pena nell’evenienza neuroscientifica di un problema frontale simile a Gage ed Elliot. Nell’articolo−intervista di Claudio Gallo su «La Stampa» Strata si chiede: «Se si fosse potuto stabilire che Dahmer soffriva di un problema al lobo frontale, come Gage, che non avrebbe potuto agire diversamente, la sua sentenza sarebbe stata diversa?»3. Per Strata (che riprende il pensiero di Benjamin Libet) il libero arbitrio sarebbe una sorta di “notaio”, un “veto” interiore che agirebbe una volta che le reali prese di decisione sono state configurate dal nostro cervello (o da una parte di esso).L’illusione del libero arbitrio. I casi Phineas Gage e il paziente Elliot
Sin dai tempi più remoti, il tema della libertà umana ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. In un modo o nell’altro ci troviamo davanti alla contraddizione e allo scandalo tra due polarità: da una parte, il determinismo assoluto e, dall’altra, l’indeterminismo, il caso. Sarà proprio lo spazio prodotto da queste due polarità del reale che renderà ragione di quella peculiarità, di quel proprium nell’essere umano che da millenni denominiamo “libero arbitrio” o “libertà della e nella volontà”.Tolstoj: necessario rinunciare a un’inesistente libertà e riconoscere una dipendenza che non sentiamo
Se la volontà di ogni uomo fosse libera, cioè ognuno potesse agire come gli talenta, tutta la storia sarebbe una serie di casi fortuiti slegati. Se anche un solo uomo fra milioni di uomini nel corso di un millennio avesse la possibilità di agire liberamente, e cioè, a suo piacere, evidentemente un solo libero atto di quell’uomo, contrario alle leggi, annienterebbe la possibilità dell’esistenza di qualsiasi legge per tutto il genere umano. Se invece esiste anche una sola legge che governi le azioni degli uomini, non può esistere la libertà dell’arbitrio, poiché la volontà degli uomini deve essere soggetta a questa legge4.
Così, Leon TOLSTOJ sintetizzava, nella seconda parte dell’epilogo della sua monumentale opera intitolata Guerra e pace, la conclusione filosofica a cui era giunto: «nel caso presente, è ugualmente necessario rinunciare a un’inesistente libertà e riconoscere una dipendenza che non sentiamo»5. Il grande scrittore russo non poteva certamente immaginare che dopo più di un secolo, il suo stesso scetticismo relativo alla libertà umana sarebbe tornato di moda, alla ribalta tecnico-scientifica e mediatica, alimentato, questa volta, dalla “rivoluzione” in campo neuroscientifico. Ecco emergere la problematica in tutta la sua forza: siamo davvero esseri dotati di libertà, oppure automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Nel fondo la questione si riassume nella domanda: che cos’è la libertà?
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