Ecco il nuovo codice deontologico dei medici italiani: nulla di cui preoccuparsi?
Il 23 maggio è stato presentato a Roma il nuovo codice deontologico dell’Ordine medico, approvato qualche giorno prima a Torino e perciò ribattezzato “codice di Torino”. Amedeo Bianco, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgi e degli odontoiatri, al termine dei lavori parla di “larghissimo consenso”: ma l’unanimità c’è solo sulla lotta all’abusivismo. A dare l’ok 87 presidenti su 99, dieci i voti negativi, due le astensioni. Un fatto senza precedenti.
L’alzata di scudi non si è fatta attendere. “Il nuovo codice che non piace a tutti i medici”, così titola il Corriere della Sera; e Repubblica: “Medici, fronda contro il nuovo codice etico.Bologna e Milano: «Applicheremo il vecchio»”. Giancarlo Pizza, presidente dell’Ordine di Bologna, preannuncia un ricorso al Tar. Critici anche gli ordini di Milano, Lucca, Massa Carrara, Latina.
E’ il rinnovamento della medicina che si vuol fermare? Il Sole 24 Ore parla di una pratica medica che cambia e titola: “Il codice deontologico dei medici si rinnova”. Certo non mancano le novità , come gli articoli su medicina militare, medicina “potenziativa” e tecnologie informatiche nella sanità . Per Ramuzzi, che scrive sulle colonne del Corriere, si può parlare allora di nuove regole di comportamento per i medici (“«Paziente», tecnologia, conflitti. Il nuovo codice deontologico”).
Una conclusione un po’ azzardata. Riteniamo che la natura della medicina permanga invariata nel tempo: cambiano gli strumenti, sopravvengono nuovi problemi, ma non cambiano i fini essenziali della professione. Forse sono altre le priorità . Oppure si insinuano interessi di vario tipo. E qui scattano degli allarmi. Avvenire (“Medici, la deontologia sarà dettata dalla Regione”) riporta la polemica sull’articolo terzo, che vincola l’attività del medico alle innovazioni organizzative e gestionali della società e alle competenze previste dall’Ordinamento degli studi. Con buona pace dell’autonomia del professionista. Suscitano preoccupazione, poi, certe scelte terminologiche: addio alla parola “eutanasia” e forzature per la parola “paziente”. La prima reputata inadeguata e sostituita con “atti finalizzati a provocare la morte” (per Bianco, infatti, “la buona morte non è solo quella provocata”!); la seconda limitata agli ammalati e sostituita con “assistito” negli altri casi.
Un innocuo cambio di lessico, come rassicura Bianco? O una “rivoluzione copernicana” che rispecchia il cambio di paradigma della medicina moderna, come sottolinea l’Agi? Per Ramuzzi i problemi veri sono altri, noi non lo crediamo. C’è già tanta confusione su alcune espressioni controverse, e si rischia di accrescerla a rigirare le carte in tavola. D’altra parte, non è senza ragione che una parola subentri al posto di un’altra; non è senza ragione che una parola risulti più appropriata di altre. E con più eufemismi ed espressioni vaghe ci poniamo molte domande in meno.
di: Miriam Fiore