Germán Sánchez Griese – IL CARISMA COME FONTE DI UNA VERA E PROPRIA SPIRITUALITÀ

La terribile solitudine della donna consacrata

 

Il panorama assai difficile della vita consacrata tuttora, non deve spaventare la religiosa. Per quanto sia certo che le difficoltà e il dolce veleno della mentalità laicizzata s’insinuino come nemici della consacrazione, sfigurando l’identità della vita consacrata è altrettanto vero che ella può contare sui mezzi necessari per andare avanti: una fedeltà a oltranza, un’aspirazione costante alla santità e una speranza fortificata.

Come ogni antidoto non basta ingerirlo una sola volta. Di fronte al veleno bisogna prenderlo tutte le volte che è necessario. Come nessuno è esente dagli attacchi di animali velenosi che in qualunque momento lo possono pungere, così nella vita consacrata nessuno può essere sicuro di non subire l’attacco del dolce veleno. Non si tratta di vivere con la mania di persecuzione e neppure di vedere problemi dove non ve ne siano: è opportuno, però, che la donna consacrata viva in un sano stato d’allerta, per individuare la presenza del nemico e reagire subito in modo adeguato e giusto. Diciamo adeguato e giusto perché la risposta non dev’essere eccessiva né in senso passivo, né attivo. Una risposta esagerata in senso passivo sarebbe non far nulla o lasciar correre, come se il dolce veleno del secolarismo non fosse penetrato attraverso le più intime membrane del nostro essere con lentezza ma portando inesorabilmente alla stanchezza o al letargo della vita consacrata. Esagerare in senso attivo sarebbe esacerbare la risposta in maniera incontrollata, perdendo di vista la realtà e la fiducia che in ogni momento si deve avere nella grazia di Dio e nell’azione personale.

La fedeltà, l’aspirazione personale alla santità e il rinforzo della speranza sono atteggiamenti che aiutano sempre a stare saldi nella lotta, per non lasciarsi strappare l’identità propria basata sul carisma. Devono però essere costantemente alimentate, accresciute ed esercitate, altrimenti potrebbero morire per inazione o mancanza d’esercizio.

Sotto quest’aspetto la donna consacrata deve meditare attentamente su un piano di lavoro assai positivo che l’aiuti sempre essere salda nella lotta per sviluppare queste attitudini. Deve trovare un mezzo, nella sua vita ordinaria, che le serva non solo come promemoria, ma come ossigeno stesso per respirare costantemente l’aria sana della sua appartenenza a Dio, di quel quaerere Deum che Benedetto XVI ci ricordava nel discorso ai religiosi e religiose che vivono in Roma, e che gli piace molto ripetere ogni volta che si rivolge alla vita consacrata: “Il vostro modo di vivere e di operare è in grado di manifestare senza attenuazioni la piena appartenenza all’unico Signore; la vostra completa consegna nelle mani di Cristo e della Chiesa è un annuncio forte e chiaro della presenza di Dio in un linguaggio comprensibile ai nostri contemporanei. è questo il primo servizio che la vita consacrata rende alla Chiesa e al mondo. All’interno del Popolo di Dio essi sono come sentinelle che scorgono e annunciano la vita nuova già presente nella nostra storia.”

Questa appartenenza al Signore è ciò che caratterizza l’identità delle persone consacrate, la loro essenza è contenuta nell’essere completamente del Signore e per il Signore. I mezzi citati, fedeltà, santità e speranza, non fanno che ricordarle ciò che è. Non basta sapere cosa si è. Conviene metterlo costantemente in pratica. Per la vita consacrata, nulla è indifferente, ogni azione riveste un’importanza trascendentale, dal momento che allontana o avvicina alla propria identità, ricordando il principio metafisico che il fare segue l’essere. Tutto ciò che fa la persona consacrata è solo un riflesso del suo essere.

La religiosa dovrà quindi cercare, attraverso fedeltà, santità e speranza, il modo di vivere costantemente l’identità che, per vocazione divina, è chiamata a vivere. Tuttavia non basta vivere i mezzi per raggiungere la propria identità di religiosa, di donna consacrata. I mezzi sono molto precisi come precisa è l’identità. Non esiste un’identità della vita consacrata, la sequela di Cristo, in forma vana o eterea, ma con un carisma specifico:La consacrazione religiosa è vissuta in un dato istituto, in conformità alle costituzioni che la Chiesa, con la sua autorità, accetta e approva: in accordo, pertanto, con particolari disposizioni che riflettono e approfondiscono un’identità specifica. Tale identità emana da quell’azione dello Spirito Santo che costituisce il dono originario dell’istituto: il carisma che determina un particolare tipo di spiritualità, vita, apostolato, tradizione (cfr. MR 11). Osservando le numerose famiglie religiose, si è colpiti dalla grande varietà di doni originari. Il Concilio ha posto in rilievo la necessità di incrementare tali carismi originari in quanto doni di Dio alla Chiesa (cfr. PC 2b). Questi doni determinano la natura, lo spirito, la finalità, il carattere proprio di ogni istituto, cioè il suo patrimonio spirituale; costituiscono il fondamento del senso di identità che è un elemento chiave per salvaguardare la fedeltà di ogni religioso (cfr. ET 51).” Per quanto sia certo che i mezzi della fedeltà, santità e speranza aiutino a vivere l’identità della vita consacrata, per il fatto stesso che tale identità assuma una colorazione speciale sotto il prisma specifico di ogni carisma, è altrettanto vero che fedeltà, santità e speranza dovranno essere vissute sotto questo stesso segno, nella stessa colorazione, cioè con lo stesso carisma. E qui comincia il dramma della solitudine di molte donne consacrate...

Elle si rendono conto della necessità di vivere con forza la propria consacrazione a Dio, di vivere con radicalità l’appartenenza al Signore. La donna consacrata, come ogni donna, possiede una squisita sensibilità che le permette di percepire l’amore e l’appartenenza a una persona in una forma totalizzante e totalizzatrice, giacché nessuna è vertice del proprio essere, di tutte le sue capacità resta estranea a quest’unico amore cui vuole donarsi con tutte le sue forze. Ma in molti casi risulta che quest’identità non sia ben definita in lei. Si sa che è una donna consacrata, ma non lo vive in pienezza, col carisma specifico che Dio le ha donato. Il dramma della solitudine inizia quando, cercando di vivere con radicalità la consacrazione, non lo fa sotto il segno del proprio carisma. Vuole vivere i voti, ma li interpreta in modo assai diverso da come li volle il fondatore. Vuole vivere la preghiera, ma s’allontana dall’ideale di preghiera proposto dal carisma. Vuole donarsi interamente ai fratelli, realizzando una missione o un apostolato, ma ignora la spiritualità che anima la missione o l’apostolato che il carisma le propone. Vuole sacrificarsi e vivere solo per Dio e in Dio, ma dimentica che lo deve fare sotto un determinato carisma.

In tal modo comincia a cercare modi diversi di camminare la propria sete di donazione nel vivere i voti, la preghiera, la missione o il sacrificio. Inizia a vivere una terribile solitudine poiché non conosce la spiritualità che emana dal carisma.

Germán Sánchez Griese

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