Germàn Sànchez Griese – LA FORMAZIONE NEL MAGISTERO DELLA CHIESA, ECCLESIAE SANTAE
In questo documento Paolo VI presenta le direttive per un’applicazione pratica del decreto Perfectae Caritatis; considerando che tutto il secondo capitolo è dedicato alla formazione. Prima di addentrarci nell’argomento e con il fine di realizzare un’adeguata ermeneutica del documento sarà interessante prendere in considerazione l’idea fondamentale sul rinnovamento. Afferrando questa idea potremo comprendere meglio quale sia il concetto che sviluppa sulla formazione.
In primo luogo è urgente che le congregazioni abbiano una profonda e meditata conoscenza, e allo stesso tempo un’attualizzazione del decreto Perfectae Caritatis e della costituzione dogmatica Lumen Gentium, soprattutto i capitoli V e VI, cioè le fonti da dove devono estrarre “le norme e lo spirito ai quali bisogna che risponda il rinnovamento adeguato” (Ecclesiae santae n.15). Una profonda conoscenza che deve condurre ad un adeguato discernimento sulle teorie, ideologie o interpretazioni che iniziano a distaccarsi dal vero spirito del Concilio. Conoscenza anche meditata che permettesse un’adeguata messa in comune, guidata dall’autorità, sulle implicazioni che per ogni istituto comporterebbe un rimettersi in cammino secondo quanto suggerisce il Concilio. E una conoscenza attiva per avere il coraggio di dare avvio a dette iniziative prevenendo le conseguenze e anticipandosi a esse, in modo tale che si potesse esercitare una vera direzione della Congregazione nel momento in cui si fosse messa in atto l’applicazione delle direttive richieste dl Concilio.
In un secondo momento (ES 16) fa un’applicazione chiara dei cinque lineamenti del decreto Perfectae caritatis,[1] dicendo che il rinnovamento dovrà essere impregnato dallo studio del vangelo e della Sacra Scrittura; dalla dottrina della Vita Religiosa e da una conoscenza genuina dello spirito originario di ogni istituto, in modo tale che sia salvo nel momento in cui vi saranno gli adattamenti previsti e suggeriti dal Concilio.
Questa ultima raccomandazione sarà di capitale importanza nel momento in cui vogliamo interpretare la forma con la quale il documento presenta la formazione nella vita consacrata. Al numero 33 del documento si afferma che la formazione non può essere autentica per tutti gli istituti e che bisogna tenere presente la natura propria dell’Istituto. Tale natura è costituita dallo spirito originario e sarà il fulcro, il perno, la pietra angolare sulla quale deve poggiare l’edificio spirituale di un adeguato rinnovamento, e devono considerarsi superate solo quelle forme che non costituiscono né la natura, né i fini dell’Istituto (ES 17). Quindi, senza un’adeguata conoscenza della propria natura e i fini dell’Istituto le religiose corrono il rischio di confondere l’essenziale (natura dell’Istituto) con l’accidentale e a voler realizzare gli adeguati adattamenti che possono lasciare da una parte la natura e i fini dell’Istituto, cioè l’essenza dell’Istituto. Per questo, come base della formazione, si deve collocare la conoscenza della natura e i fini dell’Istituto (il carisma), come uno dei fondamenti della formazione, in modo tale che tutto ciò che la religiosa riceve nella sua formazione passi attraverso questa conoscenza carismatica, e le serva perché sia essa stessa ad elaborare un adeguato discernimento. Da quanto detto possiamo affermare che questo sia il grande contributo che il documento apporta riguardo il concetto di formazione. La religiosa che riceve questo tipo di formazione sarà sempre in grado di affrontare i continui cambiamenti e le sollecitazioni che le offre il mondo, sicura di non rimanere impoverita da un lato o di tradire la natura e i fini dell’Istituto per adattarsi a mode, teorie o comportamenti che non sono conformi al carisma originario dell’Istituto.
Germán Sánchez Griese
[1]Concilio Vaticano II, Decreto Perfectae caritatis,28.10.1965. n.2.