Guardare Dio per comprendere San Tommaso
Si è svolto a Roma il 19 novembre 2010, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, l’incontro “La partecipazione, fulcro del tomismo essenziale secondo Cornelio Fabro”, convegno su “Partecipazione e causalità ” di Cornelio Fabro in occasione della presentazione del volume per le opere complete a cinquant’anni dalla sua pubblicazione.
Nel suo saluto introduttivo Padre Rafael Pascual, LC, Decano della Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ha ricordato che “per capire Cornelio Fabro bisogna guardare verso quell’autore che è stato il fulcro del suo pensiero, cioè Tommaso d’Aquino. Bisogna, dunque, diventare veramente tomisti. Ma, a sua volta, per capire Tommaso, bisogna guardare dove lui rivolgeva il suo penetrante sguardo, cioè verso Dio”.
“Giovanni Paolo II – ha spiegato Padre Rafael Pascual - ha sottolineato la filosofia dell’essere come una delle caratteristiche principali del pensiero di S. Tommaso: “Già all’inizio del suo Pontificato, nella sua visita all’Angelicum nel 1979, propone a professori e studenti la filosofia di Tommaso come modello a ragione del suo spirito di apertura ed universalismo, proprio per il fatto di trattarsi di una filosofia dell’essere. Ecco le parole del Pontefice: “La filosofia di san Tommaso è filosofia dell'essere, cioè dell'«actus essendi», il cui valore trascendentale è la via più diretta per assurgere alla conoscenza dell'Essere sussistente e Atto puro, che è Dio. Per tale motivo, questa filosofia potrebbe essere addirittura chiamata filosofia della proclamazione dell'essere, il canto in onore dell'esistente”[1].
In questa filosofia dell’essere trova un posto speciale quell’essere che è l’uomo, cioè quell’essere “che è in grado di conoscere se stesso, di meravigliarsi in sé e soprattutto di decidere di sé, e di forgiare la propria irripetibile storia...” (ibid.). D’altra parte, come fa presente il Papa, “da questa affermazione dell'essere la filosofia di san Tommaso deriva la possibilità ed insieme l'esigenza di oltrepassare tutto ciò che ci è offerto direttamente dalla conoscenza in quanto esistente (il dato di esperienza) per raggiungere l'«ipsum Esse subsistens» ed insieme l'Amore creatore, nel quale trova la sua spiegazione ultima (e perciò necessaria) il fatto che «potius est esse quam non esse» e, in particolare, il fatto che esistiamo noi...” (ibid).
Da questa filosofia dell’essere segue, finalmente, il suo realismo, la sua obiettività e il suo valore perenne, anche e soprattutto perché si tratta appunto di una filosofia dell’essere e non dell’apparire. Questa stessa idea si ritrova significativamente nell’enciclica Fides et ratio (nº 44)”. “Vediamo, dunque – ha osservato il Decano della facoltà di Filosofia - come queste questioni non sono semplici esercitazioni accademiche, ma hanno un risvolto nelle diverse dimensioni dell’uomo: la questione del suo statuto, la sua dignità , il valore della conoscenza, la responsabilità , il rapporto tra verità e libertà , ecc. Infatti, la stessa etica naturale, oggi tanto dimenticata oppure addirittura negata, è una conseguenza pratica della filosofia dell’essere.
Oggi assistiamo a una specie di eclissi dell’essere, o se vogliamo, di quella dimenticanza dell’essere di heideggeriana memoria. Manca proprio quel senso dell’essere che invece troviamo in modo così chiaro e spiccato in Tommaso e in Fabro, il suo fedele discepolo. Da questo smarrimento del senso dell’essere deriva il nichilismo contemporaneo, quel nichilismo che comporta delle nefaste conseguenze per l’uomo stesso. Infatti, come faceva presente Giovanni Paolo II nella parte finale dell’enciclica Fides et ratio, “l'oblio dell'essere comporta inevitabilmente la perdita di contatto con la verità oggettiva e, conseguentemente, col fondamento su cui poggia la dignità dell'uomo. Si fa così spazio alla possibilità di cancellare dal volto dell'uomo i tratti che ne rivelano la somiglianza con Dio, per condurlo progressivamente o a una distruttiva volontà di potenza o alla disperazione della solitudine. Una volta che si è tolta la verità all'uomo, è pura illusione pretendere di renderlo libero. Verità e libertà , infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono” (FR 90).
Finalmente, Benedetto XVI, sebbene non usi, per quanto ci risulta, l’espressione “filosofia dell’essere”, ne allude in diversi modi, come in una delle recenti udienze generali che ha dedicato alla figura del Dottore Angelico: “La distanza tra Dio, il Creatore, e l'essere delle sue creature è infinita; la dissimilitudine è sempre più grande che la similitudine (cfr DS 806). Ciononostante, in tutta la differenza tra Creatore e creatura, esiste un'analogia tra l'essere creato e l'essere del Creatore, che ci permette di parlare con parole umane su Dio”[2]. Benedetto XVI ci invita inoltre a metterci anche noi, diremmo come ha fatto Cornelio Fabro, alla scuola di San Tommaso[3]. Ecco come si presenta questo convegno ancora una volta come una continuazione ideale di quello di due anni fa, dedicato all’enciclica Fides et ratio, e dell’anno scorso, su S. Anselmo. Se ci siamo occupati di Anselmo come modello del rapporto reciproco tra fede e ragione, adesso ci occuperemo su un modello contemporaneo di quella filosofia dell’essere che ci si presenta come via di uscita dell’impasse della crisi in cui si trova il pensiero, la morale e la cultura contemporanei. Cornelio Fabro ha molto da dire oggi al riguardo. Non per caso possiamo intravedere delle convergenze, se non dei veri e propri influssi, tra il pensiero di questo grande filosofo cristiano del secolo ventesimo e quel richiamo alla filosofia dell’essere che troviamo negli ultimi sommi pontefici”.
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