Incontro con i docenti
Il Card. De Paolis incontra i docenti dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Il 7 ottobre 2013, in occasione dell’apertura del nuovo Anno Accademico dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, a Roma, il Card. Velasio De Paolis, C. S. ha incontrato i docenti dell’Ateneo, su invito del Rettore, P. Jesús Villagrasa, L.C.
Il Card. De Paolis, Delegato Pontificio per i Legionari di Cristo, che guidano l’Ateneo da vent’anni, ha condiviso, con i professori dell’Ateneo, la sua pluriennale esperienza di docente, presso le Pontificie Università Gregoriana e Urbaniana (in quest’ultima, fino a giugno del 2012).
Disponibilità e attenzione allo studente
La sincera preoccupazione per chi sta imparando, per il particolare momento della vita in cui si trova, può fare la differenza tra un insegnante e un altro e può addirittura influenzare l’apprendimento. Bisogna prendere sul serio gli alunni ed essere umili; mostrare stima per gli alunni. Il rapporto personale è il luogo dove si impara ad amare lo studio; il confronto personale col professore insegna a vagliare le tante opinioni che si ascoltano, a scuola e nel mondo. I professori sono responsabili degli alunni e devono trasmettere loro, anche con l’atteggiamento, che sentono questa responsabilità nei loro confronti.
«Ci vuole fermezza e, al tempo stesso, benevolenza e non rompere mai il rapporto. I professori devono coltivare gli alunni, farli crescere e saper stabilire un rapporto di amicizia con gli alunni. Questo rapporto farà sì che il professore non sia solo quello che insegna (sebbene la docenza, all’Università, sia importante) perché la cosa importante è il rapporto che si riesce a stabilire col professore» ha detto il Cardinale.
La prospettiva dell’insegnante è quella di fare il bene degli alunni, andando loro incontro, tenendo conto del loro cammino,
in modo da rispondere alle loro esigenze, senza lasciarsi prendere dall’impazienza, dall’esibizionismo, senza cadere nella tentazione dell’autodifesa (sono rischi che tutti corriamo, non solo i professori).
Dedizione all’insegnamento
Il “gruppo docenti”, all’interno di un ateneo pontificio è importante! I docenti non sono stipendiati, vivono il loro impegno in una dimensione apostolica.
Ogni congregazione religiosa coltiva una spiritualità specifica e si aspetta che i professori ordinari e invitati, anche quelli che non appartengono alla congregazione, siano collaboratori anche nella dimensione spirituale dell’Istituto. La loro collaborazione deve essere piuttosto una partecipazione all’attività e alla spiritualità specifica dell’università che una sua vera fisionomia nella vita della Chiesa.
L’università non si sviluppa a livello individuale, ma con la partecipazione di tutti; non vale per il valore dell’uno o dell’altro professore, anche per questo, ma il suo valore profondo è condiviso, è messo in comune, e in questa dimensione comune e comunitaria ha un senso all’interno della Chiesa Il bene della facoltà deve essere comunicato, i professori devono fare rete e questa è l’enorme ricchezza dell’ateneo. Bisogna formare, educare a un sentire comune indispensabile che non sia un’imposizione perché nasce da una vita comune, dalla riflessione condivisa, dalla stima reciproca, dal crescere insieme. Ogni professore si inserisce nel gruppo docenti per conservare intatta la fisionomia dell’università.
«Non abbiamo bisogno tanto di singoli professori che siano geni» ha detto il Cardinale, «ma se lavoriamo insieme, tutti diventiamo piccoli geni perché mettiamo in comunione quello che abbiamo e ognuno è contento e gioisce di quello che l’altro ha fatto».
«Abbiamo una missione bellissima come docenti»
Il sacerdote, nello svolgimento del suo ministero dovrebbe arricchirsi e prepararsi alla missione. È qui il senso dell’impegno nello studio. Il professore deve essere una persona che ama il suo impegno, che è dedito allo studio, che non si disperde in altre cose.
«Abbiamo sempre il problema di essere divisi fra le tante cose che facciamo. Lo risolviamo se diamo unità di vita al nostro agire: profonda spiritualità, profonda crescita e questo spetta soprattutto all’insegnante».
Ci sono molte cose belle e buone che si possono fare a servizio del popolo di Dio, ma non basta che una cosa sia bella perché sia anche necessaria.
Con queste motivazioni, si rischia di distruggere la motivazione specifica. Non basta che le cose siano belle, è necessario che appartengano al nostro compito. Tra tutte le cose, ognuno sceglie la propria vocazione e ci si dedica con impegno. Le altre cose, anche se buone, se disturbano l’impegno fondamentale, non sono corrette.
Prima uomini, poi sacerdoti e docenti.
C’è anche una dimensione di vita, quella spirituale, che non si può trascurare. I professori devono essere umanamente ricchi, devono avere una spiritualità profonda.
Abbiamo un modello di vita, un punto di riferimento che ci dice cosa è veramente essere umano: Cristo. «Non saremo mai veramente umani se prima non lo conosciamo». La vera umanità, la si coglie nel mistero di Gesù e questo forma l’uomo. Prima dei professori di Teologia, di Sacra Scrittura, c’è bisogno uomini spirituali, mossi dallo Spirito di Gesù, specialmente i professori di scienze ecclesiastiche. Abbiamo bisogno di fede per cogliere la realtà teologica nella sua profondità e la fede non è solo dottrina, è esperienza di vita, che ci mette in comunione con Gesù Cristo.
«La santità non richiede la dottrina sempre ma essere “dottore” richiede la santità. Il professore non deve esser preoccupato di esprimere se stesso, perché il nostro obbiettivo è sempre lo stesso: Convertitevi e credete al Vangelo. Le proposte di rinnovamento che non ci chiamano alla conversione non sono autentiche».
P. Ramon Lucas Lucas, L.C. docente di antropologia filosofica alla Pontificia Università Gregoriana, ha ricordato, nel suo intervento, che «il professore è un formatore e, in quanto tale, deve tener conto del bene completo della persona; ciascuno di noi è consapevole che certe cose che dice a lezione, il suo atteggiamento hanno addirittura un influsso più grande che certi consigli del direttore spirituale, perché vengono da una testimonianza di vita, vengono da una posizione di autorità».
«Nella mia vita» ha detto ancora il Cardinale, raccontando il suo percorso di studi e di preparazione al sacerdozio, «non ho preteso nulla e ho ringraziato sempre il Signore per quello che mi ha donato. Ho sempre trovato qualcuno che mi ha voluto bene, mi ha accompagnato e aiutato a superare le difficoltà e tutto questo è avvenuto all’interno dell’insegnamento, sin da bambino. Da alunni, si impara diventare professori e ci si prepara alla possibilità di essere chiamati a questa missione. Smettiamo di lamentarci per quel che non abbiamo, perché potremmo finire per farlo dalla mattina alla sera: il tutto non lo abbiamo, lo avremo in paradiso; nel tempo, accontentiamoci di quello che abbiamo e che possiamo avere. Se ci chiudiamo nella lamentela, nel risentimento, nella pretesa, ci perdiamo, quasi diventiamo paralitici».