LA FORMAZIONE NEL MAGISTERO DELLA CHIESA: RELIGIOSI E PROMOZIONE UMANA
Questo documento pretende di armonizzare le esigenze di un adeguato rinnovamento della vita consacrata nelle situazioni del mondo attuale, con la testimonianza della vita consacrata e l’urgenza della sua missione evangelizzatrice. Affronta, il fatto che molte congregazioni che hanno iniziato il cammino di rinnovamento lo hanno fatto seguendo un modello di pura apparenza. “Una rilettura, in questa luce, dei criteri conciliari di rinnovamento dimostrerà che non si tratta di semplici adattamenti in certe forme esteriori” (Religiosi e promozione umana, n.32) Il problema della formazione risiede nel come continuare ad essere se stesso, cioè, nel conservare l’identità della vita consacrata adattandola ai distinti problemi che presenta il mondo moderno “rimanere se stessi anche in modi nuovi di presenza”. (Religiosi e promozione umana, n.32)
Affinché questo binomio: adattamento- permanenza dell’identità possa continuare ad essere se stessa e raggiunga ad informare la vita delle nuove generazioni dando una risposta concreta ai nuovi problemi che attanagliano l’umanità, è necessario fare ricorso alla formazione, che il documento definisce “E' un'educazione profonda, di mentalità e di stile di vita” (Religiosi e promozione umana, n.32). A riguardo il documento segnalerà quattro considerazioni sulle quali deve fare riferimento il principio della formazione negli istituti di vita consacrata, coordinate che fino ad oggi non hanno perso la sua valenza.
La prima coordinata della formazione è il fare memoria dell’identità della vita consacrata. Se la formazione nei nostri tempi consiste nell’educare le persone consacrate a essere per dare una risposta ai problemi attuali, risposta che deve provenire da una vita consacrata vissuta personalmente, è logico pensare che la prima cosa da fare è formare la persona consacrata nella coscienza di quale debba essere la sua identità. Una coscienza in se stessa e in rapporto al mondo attuale. “Verificare la coscienza della natura profonda e delle caratteristiche della vita religiosa, in se stessa e nella sua dinamica di partecipazione alla missione della comunità ecclesiale, nella società d'oggi.” (Religiosi e promozione umana, n.33a) Chi non sa chi è, e ciò che desidera realizzare nella vita, difficilmente potrà compiere la sua missione di guida ed evangelizzatore. Questa coordinata della formazione ci ricorda quella massima di Paolo VI “Per un essere che vive, l’adattamento al suo ambiente non consiste nell’abbandonare la sua vera identità, ma nell’affermarsi, piuttosto, nella vitalità che gli è propria.” (Evangelica testificatio n.51).
Questa prima coordinata nella nostra realtà è ancora attuale. Contrariamente, per non essere stata incorporata nella ratio studiorum dei programmi formativi in molti casi si è persa l’identità della persona consacrata, o almeno non è stata così chiara come doveva essere in quanto molte congregazioni riguardo la formazione delle religiose si sono servite degli apporti che offrivano le scienze umane e sociali come la psicologia, la sociologia o l’amministrazione del personale o delle strutture. La conseguenza è triste visto che chi non conosce la sua identità la cerca a tutti i costi e la trova nel luogo più adeguato. Una volta incontratala nel luogo sbagliato comincerà a interpretare la realtà secondo questa falsa identità, dando come risultato un inadeguato rinnovamento.
Essendo l’adeguata interpretazione e adattamento della realtà “la coscienza della natura profonda e delle caratteristiche della vita religiosa” (religiosi e promozione umana n. 33) non bisogna dimenticarsi il grande aiuto che la conoscenza e la trasmissione del carisma possono prestare alla formazione della persona consacrata. Se il carisma è “l’esperienza dello spirito” (Mutuae relationes 13) che Dio ha voluto ispirare ad ogni fondatore per dare inizio a un Istituto di vita consacrata, si converte quindi nel nucleo dell’identità della vita consacrata per ogni membro dell’istituto. La conoscenza del carisma è la chiave della formazione alla quale costantemente la religiosa deve fare riferimento per trarre da questa, rinnovate forze e gli adeguati adattamenti per vivere la vita consacrata applicandola ai continui cambiamenti del nostro mondo.
La seconda coordinata della formazione secondo il documento Religiosi e promozione umana invita a prendere in considerazione il tipo di formazione che si proporziona alle persona consacrata in relazione alla professione dei consigli evangelici. La formazione alla castità. Povertà e obbedienza non deve chiudere la persona in se stessa, ma aprirla a Dio e al mondo. La consacrazione secondo i vincoli delle Costituzioni di ogni istituto deve aiutare le persone ad essere segno visibile dell’amore di Dio al mondo. Quindi la formazione ai voti deve contemplare “atteggiamenti nuovi, attenti al valore di segno profetico, come forza di conversione e di trasformazione del mondo, delle sue concezioni, dei suoi rapporti” (religiosi e promozione umana n. 33B)” . Ogni persona consacrata non si consacra a Dio per fini egoistici, né per raggiungere una maggiore perfezione delle persone, e così essere più gradevoli agli occhi di Dio. Si consacra per dare una risposta “La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, all’edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste” (Codice di diritto canonico 573). Essere segno e annuncio nella chiesa per la gloria del mondo futuro si converte quindi in un segno escatologico mediante la professione dei consigli evangelici. Come segno la persona consacrata è presente dove sono i beni futuri. La forma con la quale realizza questo segno sono i Consigli evangelici di povertà. Castità e obbedienza. Per questo mediante la professione dei Consigli evangelici la persona consacrata si converte in una presenza di beni distinti dai beni che presenta il mondo.
Da quanto abbiamo detto si comprende che sia necessaria una formazione ai consigli evangelici in modo tale che questi possano realmente convertirsi per il nostro mondo in segni visibili e comprensibili delle realtà future. È necessario, quindi che il mondo, sempre in continua e rapida evoluzione, possa vedere le persone consacrate come segni e le possa “leggere” come realtà future, in modo tale che questo mondo sia capace di aspirare anche ai beni futuri di cui la persona consacrata ne è portatrice, grazie alla sua consacrazione. Affinché questo si realizzi dobbiamo riflettere sulla formazione che viene data alle persone consacrate.
La formazione deve rendere capace la persona consacrata, come abbiamo già detto, affinché viva la sua consacrazione a Dio mediante i Consigli evangelici come forme escatologiche, come annuncio delle realtà eterne. Questa formazione richiedere la capacità di lasciarsi leggere dal mondo, attraverso “atteggiamenti nuovi, attenti al valore di segno profetico, come forza di conversione e di trasformazione del mondo, delle sue concezioni, dei suoi rapporti” (Religiosi e promozione umana 33b), non si tratta d’interpretare i consigli evangelici alla luce di una mentalità laica che li ridurrebbe semplicemente a una vera esperienza sociologica adattata alle situazioni del mondo, così come molte congregazioni li hanno interpretati nel corso del tempo, riducendoli in modo tale da interpretare la povertà in una capacità di autosostenersi; la castità in una capacità di stabilire sane e fruttifere relazioni interpersonali; e l’obbedienza nell’abilità per cooperare liberamente in progetti comuni dell’istituto religioso al quale si appartiene.
In realtà si tratta di una formazione che permetta di essere compresa dal mondo come una capacità di vivere senza attaccamenti ai beni terreni facendo uso intelligente delle povere risorse che l’uomo ha sua disposizione.
Insegnare al mondo uno stile di vita peculiare nel quale è possibile essere felice sapendosi sottomettere agli altri, per il bene della comunità umana, e insegnare con la propria vita che l’uomo può raggiungere la felicità senza lasciarsi trascinare dalle sue passioni o istinti, ma sottomettendole alla ragione.
La formazione ai consigli evangelici dovrà condurre quindi ad una capacità di farsi capire dal mondo, cioè alla capacità di tradurre la povertà, la castità e l’obbedienza in un linguaggio intelligibile agli uomini dei nostri tempi, analfabeti spirituali, però sempre sensibili a certi valori universali. È una sfida che richiede da un lato di vivere e comprendere integralmente il valore umano e sociale dei consigli evangelici e dall’altro lato, religiosi capaci di porsi in comunicazione con il mondo in qualsiasi tappa della loro vita, precisamente attraverso l’esperienza e la spiegazione dei consigli evangelici.
La terza coordinata della formazione si riferisce alla vita fraterna, definita come “esperienza e testimonianza di come (che) sviluppa la capacità di adattamento per rispondere a forme diverse di attività” (Religiosi e promozione umana 33c). Questa formazione per la vita consacrata si presenta quindi come “un’esperienza e testimonianza di come”, cioè come la capacità di stabilire relazioni interpersonali e approfittare di tale capacità per metterla in comune nel momento di realizzare la missione affidata. A riguardo è necessario che vi siano persone che sappiano sfuggire ad una tendenza di isolamento e di individualismo, caratteristiche del nostro tempo che conducono la persona a un ripiegamento su se stessa come fosse un’isola, lasciando da una parte la vita fraterna in comunità.
Per questo la formazione alla vita consacrata deve aiutare a sviluppare la capacità di adattamento alle nuove sfide che la vita consacrata deve affrontare. Si stabilisce la necessità di sviluppare abilità personali e comunitarie che permettono di analizzare la realtà nella quale deve vivere il carisma della congregazione con una certa flessibilità e creatività necessarie affinché tutta la comunità possa mettere in cammino progetti adeguati che rendono presente la vita consacrata.
La formazione alla vita comune intesa in questo mondo, non si riduce ad una mutua tolleranza, in cui la grande conquista consiste in una politica di non – interferenza alla vita personale. Deve essere una formazione completamente opposta. Avendo come obiettivo l’evangelizzazione, l’inserimento del proprio carisma nelle nuove situazioni obbliga le persone consacrate ad ideare “nuovi contesti di inserimento” (religiosi e promozione umana 33c) che richiedono “una preparazione spirituale e umana che aiuti a realizzare una presenza matura di consacrati in vista di rapporti rinnovati, sia all’interno che all’esterno delle proprie comunità” (religiosi e promozione umana 33c). Per conseguire tale fine è necessario pensare fin dalle prime tappe della formazione e continuare lungo tutta la vita, in una base umana capace di costruire sane ed equilibrate relazioni interpersonali tanto a livello comunitario che apostolico. Perché si dia questo, converrà far conoscere ad ogni persona consacrata, mediante un’analisi serena ed equilibrata quali siano le potenzialità della sua personalità, così come i suoi principali difetti o tendenze negative, attraverso un lavoro paziente e continuo sui propri pregi e difetti, che unificati dalla grazia formeranno in modo crescente una personalità sana ed armonica che permetterà loro una vita di comunità florida, rispettosa e sostenitrice della propria crescita, così come un inserimento nell’apostolato in sintonia con il proprio carisma adattandolo alle urgenze che emergono dal contesto nel quale si realizza la missione.
Come ultima coordinata della formazione presentata da questo documento ci incontriamo con la necessità di formare persone consacrate nella “partecipazione alla vita della chiesa e alla sua missione in atteggiamenti di corresponsabilità e complementarità” (religiosi e promozione umana 33d). Ciò richiede “una conoscenza aggiornata delle sue iniziative e degli scopi che essa si propone di raggiungere” (religiosi e promozione umana 33d). Ogni comunità inserita in una diocesi deve essere cosciente che il suo apostolato non è isolato dal lavoro pastorale che si realizza in detta diocesi. La corresponsabilità alla quale deve tendere la sua partecipazione nella vita della diocesi implica mettere a disposizione della chiesa locale il dono del carisma della congregazione attraverso l’opera o le opere che porta avanti in quella determinata diocesi. La corresponsabilità si otterrà nella misura in cui si assumono le direttive pastorali della diocesi e la complementarietà si raggiungerà quando diocesi e comunità si accostano mutuamente. La diocesi collabora nel territorio attraverso le linee pastorali, mentre la comunità attraverso il carisma collabora in modo concreto venendo incontro ad alcune necessità specifiche della diocesi. Necessità che risponderanno precisamente alla grazia specifica che ogni carisma offre alla missione di ogni chiesa locale.
Non dobbiamo dimenticare che il carisma di ogni congregazione si rivela come un’esperienza dello spirito e che in questa esperienza si trova concentrato come in germe la grazia necessaria per rispondere ad alcune necessità specifiche che hanno dato origine alla congregazione. Sebbene queste necessità possono cambiare lungo il tempo, la congregazione ha generato una capacità specifica per rispondere alle distinte necessità che si fanno presente lungo la storia. Di queste capacità possono servirsi sia le comunità, sia le diocesi per affrontare insieme le priorità della chiesa locale, raggiungendo una fruttuosa corresponsabilità e complementarietà. Ma perché questo si dia è necessario che le persone consacrate siano formate a una doppia capacità: saper comprendere il contesto della diocesi nella quale si lavora e saper mettere a disposizione della diocesi il proprio carisma, con gli atteggiamenti richiesti e permessi dallo stesso carisma.
Per questo è necessario conoscere in questo modo il carisma della congregazione che permette alle persone consacrate e alle loro comunità una capacità di adattare il proprio carisma alle realtà della diocesi nelle quali devono lavorare. Le religiose devono essere formate in modo tale che si lascino interpellare dalle urgenze della diocesi così che le stesse interroghino incessantemente il carisma. Con la ricchezza umana, spirituale ed apostolica che possiede il carisma, loro saranno capaci di partecipare e arricchire la vita della chiesa e della sua missione.
Germán Sánchez Griese