L’empatia e il rimpianto?

La scoperta dei “neuroni specchio” nel nostro cervello, ha molto da spiegarci

 

di: Adriana Gini - Il Giornale di Bioetica , 4 dicembre 2009

“I neuroni specchio saranno per la psicologia ciò che il DNA è stato per la biologia”. Questa l’affermazione di Ramachandran, un famoso ed illustre  neuroscienziato e neurologo indiano, che vive e lavora negli Stati Uniti. 

 

 

La scoperta dei “neuroni specchio” nel nostro cervello, ha molto da spiegarci

 

di: Adriana Gini - Il Giornale di Bioetica, 4 dicembre 2009

“I neuroni specchio saranno per la psicologia ciò che il DNA è stato per la biologia”. Questa l’affermazione di Ramachandran, un famoso ed illustre  neuroscienziato e neurologo indiano, che vive e lavora negli Stati Uniti.  A parte le discordanze di opinione che la stampa, pare, si diletta a riportare sul significato di questa importante scoperta (per esempio, si tentano di spiegare con i “neuroni specchio”, caratteristiche quali, l’empatia, il rimpianto, ecc., generando critiche da parte di alcuni filosofi), ci troviamo senza dubbio di fronte a qualche cosa di veramente straordinario.

Innanzitutto, la storia della scoperta: ne esistono due versioni, una vera e l’altra fittizia. Giacomo Rizzolatti, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma e team leader, rilascia un’intervista telefonica che è stata pubblicata recentemente su internet , durante la quale spiega, tra le altre cose, come siano andati veramente i fatti. Negli anni 90’, il team leader Giacomo Rizzolatti, insieme agli allora studenti, Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga, scopre il sistema dei cosiddetti “neuroni specchio” nella scimmia del genere Macaco, utilizzando elettrodi impiantati nel cervello di questi animali. La storia vera è la seguente: negli anni 80’ Rizzolatti (con un altro team di ricercatori) stava studiando l’organizzazione della corteccia motoria delle scimmie e aveva scoperto quelli che sono stati in seguito definiti come “neuroni canonici”. Si tratta di neuroni che trasformano l’oggetto in un’azione. Ad esempio: la mela e la mano che l’afferra. Questi movimenti automatici (non occorre, infatti, pensare a come prendere la mela, non è necessario ricorrere a un processo di tipo cognitivo, perché si capisce immediatamente che la mela ha bisogno di tutta la mano per essere afferrata), non erano spiegati prima in questo modo e si trattò, quindi, di una vera e propria scoperta!  A questo punto della ricerca, si aggiungono gli allora studenti Vittorio Gallese, Leonardo Fogassi e Luciano Fadiga: insieme a Rizzolatti, essi scoprono che esistono degli altri neuroni, accanto a quelli “canonici”, che si attivano non quando è presentato l’oggetto soltanto (la mela, per esempio), ma se si presenta anche l’azione compiuta sull’oggetto stesso (una mano che afferra la mela, nel nostro caso). Quindi: quello che vedo fare, lo faccio anch’io a livello cerebrale, attraverso l’attivazione dei neuroni. Ancora: osservando l’altro, ho una conoscenza esperienziale di cosa stia facendo. Rizzolatti aveva, infatti, notato qualche cosa di veramente strano: i neuroni si attivavano non solo quando le scimmie compivano un movimento, ma anche quando vedevano eseguirlo da uno dei ricercatori dell’Università di Parma. Aver fatto questo collegamento ed essere riusciti a identificare un “sistema di neuroni specchio” (Rizzolatti lo definisce, infatti, così, parlando degli studi sull’uomo), nella corteccia motoria (un sistema, cioè, che non necessità di connessioni con le aree cognitive) era il risultato di un’osservazione attenta e di un’approfondita riflessione. Non si era trattato, quindi, di un’intuizione immediata (questa la storia fittizia), come riportata nelle pagine del New York Times, nel gennaio del 2006. Nella versione “giornalistica” della scoperta, pubblicata dal New York Times appunto , infatti - spiega il neuroscienziato di Parma nell’intervista telefonica - veniva invece riportato che uno dei ricercatori era entrato nel laboratorio con un gelato in mano e, avendo ascoltato il segnale acustico che indica l’attivazione dei neuroni motori nella scimmia, avrebbe intuito all’istante, e quasi miracolosamente, e che si era alla presenza di un sistema particolare, quello dei “neuroni specchio”, appunto!

Commentando la sua scoperta, in un’altra intervista telefonica, Rizzolatti afferma, inoltre : “ La sorpresa di questi neuroni sta nel fatto di possedere due funzioni diverse: quella percettiva e quella motoria e la bellezza è che, in qualche maniera, essi uniscono due funzioni psicologiche differenti, cioè l’azione e la percezione”.

Dal punto di vista anatomo-fisiologico, i “neuroni specchio” sono una classe particolare di neuroni con proprietà visivo - motorie, scoperti per la prima volta nell’area F5 della corteccia prefrontale di scimmie , accanto a quelli cosiddetti “canonici” , di cui ho spiegato sopra. I neuroni specchio sono tutti congruenti, ma secondo gradi diversi (si usa il termine “congruenti” per indicare che c’è sempre una corrispondenza tra l’azione osservata e le risposte motorie codificate), e sono distinti in “strettamente congruenti” e “ampiamente congruenti”. I primi si attivano quando l’animale osserva un certo tipo di azione, che è sempre identico (rappresentano circa un terzo del totale); nel caso che non sia richiesta un’azione identica per la loro attivazione, si definiscono invece “ampiamente congruenti”, e questi ultimi rappresentano i restanti due terzi. Neuroni con proprietà specchio sono stati identificati, sempre nella scimmia, nella porzione anteriore della corteccia del solco temporale superiore e poiché quest’area è ampiamente collegata ad altre, fa sì che i neuroni codifichi un numero molto elevato di movimenti .

Nell’uomo, la dimostrazione “invasiva” del sistema dei “neuroni specchio”, cioè attraverso l’impiego di microelettrodi non è facile, per ovvi motivi etici. Esiste però uno studio statunitense effettuato da neurochirurghi (pare che sia l’unico di questo tipo), nel quale pazienti con elettrodi intracerebrali erano studiati dal punto di vista delle loro risposte centrali (quindi encefaliche) agli stimoli dolorifici. A quanto risulta, quando un neurochirurgo si punse con l’ago col quale eseguiva il test nocicettivo, si evidenziò una scarica elettrica nella porzione del cervello che sottende alle emozioni, nel paziente che lo osservava. Più recentemente, utilizzando mezzi non invasivi quali l’EEG (elettro-encefalografia) , la MEG (magneto-elettro-encefalografia)  e la TSM (stimolazione magnetica trans-cranica) , si è potuto accertare la presenza di “neuroni specchio” (con caratteristiche diverse da quelli scoperti inizialmente nelle scimmie, perché nell’uomo il sistema di “neuroni specchio” presenta un più alto grado di sensibilità agli stimoli visivi), nella corteccia prefrontale e nel lobulo parietale inferiore. Negli ultimi anni la metodica della fRMN (Risonanza Magnetica Nucleare funzionale) è stata utilizzata a questi fini. Con essa si è dimostrata l’attivazione di aree con proprietà specchio dopo stimolazioni visive, anche se si trattava, non di un’azione reale, ma di una pantomima (cioè, in mancanza dell’oggetto dell’azione). Poiché i settori corticali premotori che si attivano sono gli stessi di quando compiamo le identiche azioni, si può concludere che ogni volta che osserviamo le azioni altrui, il nostro sistema motorio in qualche modo “risuona” insieme con quello del soggetto osservato. Sono state studiate anche le risposte alle azioni comunicative facciali, cioè le espressioni del volto. I risultati degli studi indicano che l’atto dell’osservare azioni comunicative appartenenti al repertorio comportamentale umano o a esso simile (come il lipsmacking della scimmia), ha una risonanza in quelle aree motorie che mediano l’esecuzione delle stesse azioni o di azioni analoghe. Al contrario, l’abbaiare del cane, non essendo un atto che appartiene al comportamento umano, è categorizzato e rappresentato a livello cerebrale solo in base alle caratteristiche percettive, cioè quelle legate alla visione . Interessante, a questo proposito, uno studio compiuto su due gruppi di danzatori professionisti, gli uni esperti di una danza brasiliana, gli altri di danza classica, eseguito utilizzando filmati in cui erano mostrati entrambi gli stili, in combinazione con la tecnica di fRMN. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la maggiore attivazione del sistema dei “neuroni specchio” si otteneva quando i ballerini osservavano il filmato del tipo di danza in cui erano esperti . Accanto ad un probabile ruolo che i “neuroni specchio” svolgerebbero nella comprensione del significato delle azioni altrui, sembra che sia possibile attribuire a questo sistema anche la comprensione delle intenzioni che sottintendono le azioni. Uno studio di Iacoboni e collaboratori, utilizzando la fRMN in soggetti sottoposti a sequenze filmate illustranti azioni manuali in diverse situazioni, ha mostrato il ruolo che le aree premotorie, dotate di proprietà caratteristiche del sistema dei “neuroni specchio”, eserciterebbero nella comprensione del “perché” di un’azione . Sempre in questo studio si è visto che l’attivazione delle aree con proprietà specchio, occorre indipendentemente dal fatto che il soggetto debba o no determinare esplicitamente le intenzioni delle azioni osservate. Quindi, almeno per le azioni semplici dello studio, l’attribuzione delle intenzioni avverrebbe in maniera automatica, grazie all’attivazione obbligatoria di un meccanismo di simulazione che ha la sua base biologica nel cervello. Per quanto riguarda le emozioni, da alcuni studi che utilizzavano odori sgradevoli, si può trarre la seguente conclusione: l’insula possiede una popolazione di neuroni che si attiva sia quando i soggetti fanno esperienza diretta di uno stimolo olfattivo che provoca disgusto, sia quando questa sensazione è provocata dall’osservazione della stessa emozione espressa sul volto di un altro individuo. Analogamente a quanto si osserva nella comprensione del significato delle azioni, il percepire una sensazione ha le sue basi biologiche nell’attivazione dei circuiti che mediano la risposta corrispondente la quale, in questo caso specifico, è costituita dalle risposte di tipo viscero-motorio .Esistono alcuni studi sul linguaggio: è probabile che nell’uomo i “neuroni specchio” possano avere un ruolo particolare nell’acquisizione del linguaggio. L’ipotesi che il sistema dei “neuroni specchio”, individuati nell’uomo vicino all’area di Broca, costituisca il meccanismo di base dal quale si sia poi sviluppato il linguaggio, è stata avanzata da Rizzolatti e Arbib .  Da un punto di vista concettuale, la visione secondo la quale il linguaggio si sia evoluto a partire dalla comunicazione gestuale, non è per nulla nuova, così come si evince anche da studi più recenti in cui tale ipotesi è stata ripresa . La teoria di Rizzolatti e Arbib ha un suo vantaggio fondamentale. Si tratta, infatti, della prima teoria che indichi, in un meccanismo neurofisiologico, la creazione di un legame comune, non arbitrario, tra individui che tra loro comunicano, in condizione di parità. Ovviamente, il sistema dei “neuroni specchio” non è in grado di spiegare l’immensa complessità ed espressività del linguaggio umano. Tuttavia, questa ipotesi sembra poter risolvere uno dei problemi più difficili nella comprensione della sua evoluzione e cioè che, quanto è valido per l’autore di un messaggio linguistico lo è anche per chi lo riceve. Uno studio recente ha dimostrato l’esistenza di “neuroni specchio” anche negli uccelli, mediante la registrazione dell’attività di neuroni singoli nel centro vocale superiore (HVC) di passeri - un’area necessaria all’apprendimento e alla produzione di suoni musicali . Si tratta della prima evidenza sperimentale che dimostri come l’acquisizione della capacità di comunicare, almeno negli uccelli, possa essere collegata all’attivazione del sistema dei neuroni con proprietà specchio. Per concludere: non c’è dubbio che la scoperta dei “neuroni specchio” ha modificato degli equilibri pre-esistenti. Secondo Rizzolatti (sempre nell’intervista telefonica)  : “Le scoperte compiute dal mio gruppo hanno certamente molto modificato la psicologia cognitiva. Forse sono proprio loro, i cognitivisti, che hanno ricevuto il colpo più duro: l’idea che nel cervello ci siano dei “boxes” e che ciascuno di essi contenga degli algoritmi particolari- l’idea del cervello come di una specie di computer- credo sia una concezione completamente decaduta”. Rizzolatti prosegue affermando che i “neuroni specchio” non siano cellule singole, ma costituiscano un vero e proprio “meccanismo specchio” presente nel cervello, quindi attivo non solo nelle aree motorie, dove i neuroni specchio sono stati inizialmente scoperti nelle scimmie; tale meccanismo interessa anche le aree emotive e costituisce la base biologica di emozioni particolarmente elevate, quali ad esempio il rimpianto. “Gli esseri umani sono in grado di provare il rimpianto - continua il neuroscienziato - sia quando, per esempio, non hanno eseguito bene quanto si ripromettevano di fare, sia quando vedono un’altra persona fare altrettanto. Inoltre, è dimostrato che le donne hanno capacità empatiche maggiori degli uomini.  Esistono prove che l’autismo possa essere dovuto a un danno del meccanismo specchio - sostiene Rizzolatti – e tale patologia è purtroppo in aumento”. Infatti, gli sforzi di Giovanni Rizzolatti e del suo gruppo sono, come afferma lo stesso scopritore del “meccanismo specchio”, rivolti proprio a meglio comprendere questa complessa ed emotivamente dolorosa patologia dell’età infantile.

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