Letture: Bioetica al Futuro – Indice e Introduzione

“Bioetica al futuro. Tecnicizzare l'uomo o umanizzare la tecnica?”

The STOQ Project Research Series

Joseph Tham, L.C. e Massimo Losito ( edited by )

ISBN 13: 978-88-209-8391-8

Date of Publication: July 2010

Price € 22,00 - Pages: 424

Format: 17 x 24cm - Paperback

 


Indice Generale

Prefazione

Francesco D’Agostino

Introduzione

Joseph Tham,L.C., Massimo Losito

Prima Parte: Le frontiere della tecnoetica

Breve storia della tecnologia

Gianluca Casagrande

Biotecnologie: tra follia e saggezza

Henk ten Have

Tecnologia a servizio dell’uomo: riflessioni filosofiche ed etiche

Michael Ryan

Homo Sapiens o Homo Technicus?

Gonzalo Miranda

Antropologia e tecnologia: natura umana e cultura

Leopoldo Prieto

L’intelligenza artificiale e la cibernetica viste da un filosofo

Guido Traversa

I soggetti non-umani sono titolari di diritti?

Mario Palmaro

Neuroetica e Neuromarketing

Adriana Gini

L’uomo e la tecnica secondo una prospettiva teologica

Pedro BarrajĂłn

L’uomo e la tecnica nel Magistero Sociale della Chiesa

Giampaolo Crepaldi

 

Seconda Parte: Le biotecnologie, tra terapia e utopia

 

Biotecnologie e medicina: attese e prospettive

Leonardo Santi

Le nuove biotecnologie riproduttive e la diagnostica genetica pre-impiantatoria

Lucio Romano

Le biotecnologie genetiche e riproduttive: principi etici ed antropologici

Fernando FabĂł

Le nanotecnologie e il potenziamento umano

InekeMalsch

Oltre la terapia: è lecito il potenziamento umano?

Edmund Pellegrino

Il postumano: traguardo della genetica odierna?

Maria Paglia

Clonazione e diritti dell’uomo

Alberto Garcia

 

Terza Parte: Tecnica, ambiente e societĂ 

 

L’impatto ambientale della tecnologia

Antonio Gaspari

L’inquinamento e la tecnologia

Gianni Fochi

OGM vegetali e principio di precauzione

Davide Ederle

OGM animali e xenotrapianti

Marialuisa Lavitrano

Brevettare la vita

Giovanna Morelli Gradi

Nuovi comportamenti a rischio: videogiochi e casinò virtuali

Vincenzo Comodo, Loredana La Riccia

Bioterrorismo

Vittorfranco Pisano

Sport e bioetica: il potenziamento farmacologico e tecnologico dell’atleta.

Pasquale Bellotti

Bioetica e tecnologia nel cinema

Franco Baccarini

 

 


Introduzione - Si può parlare di bioetica al futuro?

La scienza che è conosciuta come bioetica, oggi, non ha ancora compiuto quarant’anni. Superficialmente, saremmo tentati di dire che non ha una storia, non ha un passato. Il suo presente, per giunta, è oggetto di vivaci dibattiti, inerenti il suo statuto epistemologico, la sua collocazione ed il suo stesso riconoscimento come scienza. Potremmo chiederci, dunque, che senso abbia tentare di declinarla al futuro. Di nuovo, superficialmente.

 

In realtà, la lampadina che si accende nella mente di Van Rensselaer Potter, nel momento in cui, nel 1970, conia il neologismo “bioetica”, è alimentata da fili di rame dal percorso intricato e lunghissimo: potremmo seguirlo e trovare che tante correnti diverse sono confluite e hanno contribuito alla nascita di tale disciplina. Questo percorso a ritroso ci porterebbe in un passato popolato da nomi illustri, da Ippocrate a Platone, da Aristotele a Tommaso d’Aquino, da Galeno al dottor Christiaan Barnard. Ma l’accelerazione vertiginosa che hanno avuto le scienze biomediche negli ultimi cinquant’anni, rischiava di schiacciare alcune dimensioni essenziali della vita umana, relegandole, per spinta centripeta, alla periferia. La bioetica, dunque, è emersa quasi come una necessità, non nuova, bensì rinnovata, di operare uno sforzo di sintesi, esaminando e valutando in modo sistematico la condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della salute, con l’apporto della deontologia, della morale religiosa, della dottrina del diritto e quella più recente dei diritti umani. E, naturalmente, accogliendo in sé l’etica medica e quella filosofica.

Infatti, se la medicina è vecchia quasi come l’uomo, l’etica è sicuramente a lui contemporanea, poiché sorge come naturale conseguenza di ciò che lo caratterizza come persona: un essere libero nel suo agire volontario, quindi responsabile del suo agire volontario. Per usare un’immagine efficace, potremmo dire che la “Statua della Libertà” a New York è incompleta e meriterebbe la costruzione di una “Statua della Responsabilità”, sua gemella siamese: libertà e responsabilità sono drammaticamente inseparabili.

Nel tempo, le teorie etiche si sono andate affinando, plasmandosi secondo la visione dell’uomo e del cosmo ad esse sottesa, quasi cogliendo, via via, frammenti di verità. Ad esempio, l’intuizione filosofica della spiritualità dell’essere umano, totalità unificata di corpo e anima, è antica e porta con sé l’idea di una eccellenza, di una dignità del tutto speciale riservata alla persona: questa ha racchiuso un intero universo dentro di sé; grazie alla sua anima razionale è, in un certo qual modo, tutte le cose. Proprio mediante la ragione, quindi, l’uomo può percorrere la via della verità.

Ma questo avvicinamento alla verità piena, compiuto con percorsi spesso tortuosi (e talvolta imboccando vicoli ciechi, perché cieca e sorda è a volte la ragione superba), rischiava di rimanere asintotico, se l’Infinito stesso non avesse deciso di avvicinarsi e di irrompere nel tempo: Gesù Cristo, Via, Verità, Vita.

Il fatto dell’Incarnazione, della Morte e della Resurrezione è come una “bomba ad orologeria etica”, che il timer lascia esplodere nuovamente e con nuova intensità in ogni generazione, aiutando ogni generazione nella faticosa ricerca della via del bene. Secondo le immagini ardite di molti Padri della Chiesa, «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio» (S. Ireneo), per uno «stupefacente scambio fece sua la nostra morte e nostra la sua vita» (S. Agostino). Ecco che non c’è più «né Giudeo né Greco», né uomo né donna, né sano né malato, né embrione né vecchio: la distinzione non è più discriminazione. L’ultimo sarà come il primo. L’uomo non è più “se” e non è più “per”, schiacciato ed annullato da ideologie totalizzanti che lo fagocitano. L’uomo è, tutto l’uomo è, ogni uomo è persona. Immagine e somiglianza di Dio. Amico di Dio. Di più: nel Figlio anch’egli è figlio di Dio. Se di fronte all’esistere del mondo proviamo stupore infinito, cosa proviamo di fronte quest’uomo? Ad un essere di così eccelsa dignità, non ci si può avvicinare come ad un semplice mezzo da utilizzare. L’unico modo giusto di rapportarsi a tale esistente è l’amore.

La misura del buon agire, del singolo e della intera società, del medico e del giurista, è, pertanto, l’uomo stesso: lo era ieri, lo è oggi, lo sarà domani. Questo orizzonte di riferimento è un abbraccio sincronico e diacronico. Con questo fondamento, l’etica diventa il vero ponte per il futuro. Perciò è possibile provare ad incamminarci verso il futuro stesso, senza rischiare che le parole del libro che avete tra le mani somiglino ad un inutile balbettio.

Non si tratta di uno sterile esercizio, piuttosto risponde ad un nostro preciso dovere; noi nasciamo debitori e viviamo eticamente se tentiamo di restituire all’altro precisamente ciò che gli è dovuto: l’amore che corrisponde alla sua dignità. In questo libro “l’altro” sono i nostri figli e i figli dei nostri figli: sono le generazioni nascenti e quelle future, cui lasciare il più ampio orizzonte dei possibili. Mondo ed esistenza sono dono, eredità, talenti che riceviamo da chi ci precede. Mondo ed esistenza sono un prestito da restituire arricchito a chi ci segue su questa scena. Longitudine e latitudine individuano un punto esatto; gratitudine e sollecitudine individuano un uomo esatto.

Oggetto delle riflessioni in questo testo sono le nuove tecnologie, oggi emergenti; come ogni prodotto umano, vivono la stessa contraddizione dell’essere umano: sono, o possono essere, meravigliose e pericolose. Certo imprimono una direzione al futuro: la portata degli interventi di oggi rende l’uomo del domani sanabile o manipolabile, rende l’intero pianeta più accogliente o più vulnerabile.

Su questa base, abbiamo raccolto i lavori di questa pubblicazione in tre settori.

La prima parte, “Le frontiere della tecnoetica”, dopo un panorama storico sulla tecnologia, ci condurrà verso affascinanti ricerche all’avanguardia, forse a molti ancora ignote: neuroscienze, robotica, cibernetica, nanotecnologie; frutto della meravigliosa creatività umana, esse costituiscono un enorme potenziale da condurre nella giusta direzione. La sicurezza dell’uso di ciò che è incredibilmente piccolo, l’esplorazione del cervello e l’espropriazione dei pensieri più nascosti, la riflessione sul “non umano” ed il confronto con l’intelligenza artificiale sono alcuni degli argomenti trattati e ciò permetterà di individuare con maggiore precisione la specificità della persona.

La seconda parte, “Le biotecnologie, tra terapia ed utopia”, unisce aggiornati dati scientifici a profonde riflessioni antropologiche e teologiche, mettendoci in grado di svelare le promesse e gli inganni della nuova medicina. Possiamo infatti guardare con fiducia al domani della medicina, ma occorre che essa sia a servizio della “società degli umani” e non asservita “alla società dei sani”: biotecnologia, genetica e farmacologia sono veramente a beneficio dell’uomo integrale, o piuttosto dei suoi onirici fantasmi, come l’immortalità, la duplicazione di sé, e persino l’autoredenzione?

Infine, nell’ultima parte, “Tecnica, Ambiente, Società”, abbiamo tentato di mostrare l’impatto che le nuove tecnologie stanno avendo, trasformando tutto ciò che ci circonda: quale ambiente erediteranno le prossime generazioni? E per ambiente intendiamo intero ambiente dell’uomo, quindi natura, cultura, società.

I pregi di tale pubblicazione sono, pertanto, molteplici: il rigore scientifico, la rilevanza degli autori, l’approccio multidisciplinare e l’originalità tematica la rendono un prezioso strumento di riflessione, di lavoro e di speranza.

Proprio la speranza, come ha sottolineato opportunamente il Santo Padre Benedetto XVI con la enciclica Spe Salvi, è la parola chiave che spalanca la porta altrimenti oscura del tempo, del futuro, «una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente» (Spe Salvi, 1). Essa ci consente di guardare con meraviglia alle capacità scientifiche e tecniche dell’uomo, svuotando l’avvenire dalle nubi minacciose di catastrofismi millenaristici: «la scienza può contribuire molto alla umanizzazione del mondo e dell’umanità» (Spe Salvi, 25). Allo stesso tempo, però, per essere pienamente affidabile, la speranza per l’uomo non va ristretta ad una dimensione esclusivamente materiale, perché l’uomo non può essere ridotto al suo solo confine visibile. Sebbene desideri la vita eterna, l’uomo non desidera che la sua attuale vita sia senza fine, anzi, senza la luce della grazia, anche in un corpo ideale e perfetto, «l’immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio» (Spe Salvi, 10). Benessere e felicità, salute e salvezza, infatti, non si equivalgono. Come ricorda il racconto evangelico dei dieci lebbrosi, tra essere sanati ed essere salvati c’è – e rimarrà – un’incolmabile differenza: la scienza medica tenta di compiere il primo passo; lo scientismo si arroga il diritto del secondo, per rivelarsi una deludente religione della salute. Come nella celebre utopia descritta da Aldous Huxley, in questo mondo nuovo fatto di macchine, medicina scientifica e felicità universale in pillole, dove il “fenomeno tecnico” impone l’unica regola etica del raggiungimento del risultato nel modo più rapido possibile, dove non è più compatibile Dio e la trascendenza, dove non è concepibile la sofferenza, in ultima analisi non c’è nemmeno più spazio per un essere del tutto umano. Un mondo nuovo che ha un sapore vecchio, già tante volte amaramente gustato dall’umanità.

Le promesse biomediche e tecnologiche possono, dunque, darci una “piccola speranza”, ma il nostro agire si paralizzerà se non incontra la “grande speranza” dell’Amore che ci attende. Eclissata questa speranza, spento questo amore, parafrasando Santa Teresa di Lisieux, potremmo dire che gli scienziati smetterebbero di fare scienza e gli uomini di cercare una strada per un futuro più umano.

Guardando al futuro non “sappiamo”, con certezza: che macchine guideremo, se danzeremo con robot piroettanti, se indosseremo indumenti con nanoartifici che ci faranno sembrare più snelli. La scienza, oggi, non ce lo dice, con certezza. Tanto meno può dirci se, guidando quelle macchine, danzando con quei robot, snelliti da quei nanoartifici saremo veramente felici, che poi è l’unica cosa che veramente ci importa. Non “sappiamo”, ma speriamo.

Mediante questa pubblicazione, dunque, la bioetica stessa gioca d’anticipo, affrancandosi dalla classica etichetta che la vede correre in affanno dietro l’inarrestabile progresso scientifico, persa nei suoi stessi percorsi interdisciplinari. Sul futuro la bioetica può parlare oggi con certezza, prima della stessa scienza.

Lo sguardo del bioeticista corre in avanti. Può indicare la strada per un progresso scientifico che non tradisca, anzi, che accompagni l’uomo verso la felicità intesa come piena realizzazione umana. Può percepire se le moderne tecnologie si stanno incamminando verso il bene comune. Può proporre adeguate soluzioni etiche e giuridiche, coerenti con l’edificazione della “civiltà dell’amore”. Guardando al futuro il bioeticista parla con certezza e chiede, oggi, almeno una certezza: quella di poter scorgere nella nebbia delle possibilità tecniche un volto familiare, piuttosto che un ignoto e perfetto Homo Sapiens versione 2.0. Che non accada che, traghettati dalle moderne tecnologie nel paradiso post-umano, ci rendiamo conto di avere lasciato dietro di noi l’uomo. Quello autentico, quello che – per dirlo con le parole poetiche di Karol Wojtyla – dallo scorrere delle cose, per le quali scorrere ed esistere era sufficiente, è emerso gridando: «Fermati! Questo scorrere ha un senso!».

Un’ultima avvertenza. Questo libro non avrà una conclusione, e del resto come potrebbe, parlando al futuro? Il domani non è scritto nelle stelle, nelle carte, nei cromosomi e neppure in questo libro. Il futuro lo stiamo scrivendo adesso. L’unica conclusione possibile sarà, pertanto, una pagina bianca, senza numero, ma con una cornice. Abbiamo, cioè, “carta bianca”, ma abbiamo anche un riquadro in cui muoverci, un tempo (il presente) in cui operare, un ambito in cui agire, affinché ogni nostro atto (umano, tecnico, scientifico) si qualifichi come autenticamente umano. Il nostro fare, allo stesso tempo “ci fa”. Quale drammatico paradosso metafisico si racchiude in questo debole essere di frontiera che chiamiamo uomo! La nostra natura ci è data ma sta a noi realizzarla: realizzandola, farla compiuta e compiendola, scoprire di averla sempre avuta. La quercia secolare non ha tradito la sua ghianda. Io mi svelo mentre agisco; come questo testo compare mentre lo scrivo, il futuro compare mentre lo vivo. Il futuro è adesso. Noi vi aspettiamo là.

Massimo Losito - Joseph Tham, L.C.

 

 

 

 

 

Hai bisogno di informazioni?

Contattaci