Marcela Lombard – DINAMICHE PSICOLOGICHE DELLA CASTITÀ CONSACRATA

Definizione

Nell’esortazione apostolica post – sinodale Vita Consecrata, al n. 21 ci viene data questa definizione sulla castità: la manifestazione della dedizione totale a Dio con cuore indiviso; un amore simile a quello della Trinità che stimola ad una risposta di amore totale per Dio e per i fratelli. Già in questo breve passo possiamo scoprire quanto sia necessario che la persona consacrata abbia la mente e il cuore indirizzato al Signore, senza distrazioni o affetti che creino dei compartimenti nel cuore della persona. Tutto, pensieri, ricordi, relazioni interpersonali… devono confluire a Dio.

La castità della persona consacrata cerca d’imitare la purezza di Gesù Cristo, Lui è l’agnello senza macchia che s’immola per la nostra redenzione. Lungo la Bibbia, lungo la storia della salvezza Dio ci fa vedere chiaramente che gradisce la purezza, sia perché la vittima che deve offrirsi deve essere pura, senza macchia, ma soprattutto perché il cuore di chi offre il sacrificio deve avere la disposizione adeguata, la rettitudine per voler compiacere il Signore. Nelle beatitudini Gesù ci ricorda che i puri di cuore vedranno Dio, e quest’è la grazia più alta alla quale si può mai aspirare.

Leggendo il Vangelo scopriamo le caratteristiche del cuore di Cristo che è puro, il modo in cui si avvicina alla donna samaritana, che non era certamente né molto innocente, nemmeno molto pura, Lui viene con molta finezza e delicatezza, non si sente umiliata. Lo stesso la donna peccatrice che viene da Lui a casa di Simone il fariseo, non ha paura di toccare il Signore, e Lui si lascia toccare, malgrado la tradizione che lo avrebbe fatto “impuro”, per essere stato toccato da una peccatrice pubblica. Alla donna che volevano lapidare perché trovata in flagrante adulterio, la porta a un livello di dignità più alto… infine, si avvicina così agli “impuri” di quei tempi, ma ancora più importante di tutto questo è che Gesù Cristo passa facendo il bene, cioè il suo cuore manifesta un amore retto, disinteressato per gli altri, libero e universale, che non attende la gratitudine e fa bene anche a coloro che più tardi l’avrebbero tradito o rinnegato.

Gesù Cristo è capace di ricevere amore, dal Padre, dalla Madonna, dalle persone con cui entra in contatto, ed è capace di donare amore con libertà, senza condizionarsi dalla risposta altrui, né dall’egoismo che usa l’altro come oggetto di soddisfazione personale.

Benedetto XVI ci definisce in modo molto osato, benché convincente l’amore di Cristo per ognuno di noi nel messaggio per la Quaresima del 2007:

“Il termine agape, molte volte presente nel Nuovo Testamento, indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene dell’altro; la parola eros denota invece l’amore di chi desidera possedere ciò che gli manca ed anela all’e con l’amato. L’amore di cui Dio ci circonda è senz’altro agape. In effetti, può l’uomo dare a Dio qualcosa di buono che Egli già non possegga? Tutto ciò che l’umana creatura è ed ha è dono divino: è dunque la creatura ad aver bisogno di Dio in tutto. Ma l’amore di Dio è anche eros. Nell’Antico Testamento il Creatore dell’universo mostra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione. Il profeta Osea esprime questa passione divina con immagini audaci come quella dell’amore di un uomo per una donna adultera (cfr 3,1-3); Ezechiele, per parte sua, parlando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cfr 16,1-22). Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il “sì”delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa.

E’ nel mistero della Croce che si rivela appieno la potenza incontenibile della misericordia del Padre celeste. Per riconquistare l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio. La morte, che per il primo Adamo era segno estremo di solitudine e di impotenza, si è così trasformata nel supremo atto d’amore e di libertà del nuovo Adamo. Ben si può allora affermare, con san Massimo il Confessore, che Cristo “morì, se così si può dire, divinamente, poiché morì liberamente” (Ambigua, 91, 1056). Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi. Eros è infatti - come si esprime lo Pseudo Dionigi - quella forza “che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato” (De divinis nominibus, IV, 13: PG 3, 712). Quale più “folle eros” (N. Cabasilas, Vita in Cristo, 648) di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?”

Possiamo affermare che la persona consacrata è “bersaglio privilegiato” di questo amore folle di Dio, e deve forgiare in sé un amore appassionato per il Signore, cioè che coinvolga tutte le sue facoltà, i sentimenti, l’immaginazione… tutto indirizzato ad amare Dio con un amore lo stesso “folle”.

Nel n. 88 di Vita Consecrata ci viene ricordato che la pratica della castità è testimonianza della potenza dell’amore di Dio nella fragilità della persona umana, poiché con la grazia di Dio diventa possibile e liberante vivere questa virtù che per molti è impossibile. In Cristo è possibile amare Dio con tutto il cuore e con questa libertà amare ogni creatura.

Marcela Lombard

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