Michela Pensavalli – METODI PER SVILUPPARE UNA SANA VITA AFFETTIVA, LIBERA DA DIPENDENZE

L’autostima: non è affatto contraria all’umiltà anzi, vi sono diversi punti di convergenza tra l’autostima ed una autentica umiltà. L’autostima, infatti, non è sinonimo di orgoglio o di superbia, come spesso si pensa. Molte persone consacrate, infatti, pur soffrendo di evidenti complessi di inferiorità e desiderando migliorare il loro livello di autostima, hanno il segreto timore che essa sia un segno di orgoglio e di vanità. Essa in realtà, è la considerazione che un individuo ha di se stesso.

Complesso di inferiorità: molto diffuso anche nell’ambito religioso, può portare a tratti caratteriali negativi quali la vanità, la diffidenza, l’invidia e l’aggressività, per cui il soggetto diventa incapace di un buon adattamento alla realtà e al mondo sociale, in quanto i fini da lui perseguiti sono finalizzati soprattutto alla compensazione individuale del suo complesso.

Umiltà: Appartiene a quella categoria di virtù fondamentali travisate, o comunque non rettamente comprese, tanto che molto spesso – specie negli ambienti delle persone consacrate – viene confusa con qualcosa che si avvicina notevolmente al complesso di inferiorità.

Umile era la persona che non si stimava, che si annientava completamente e godeva delle umiliazioni anche ingiuste che le venivano rivolte. Questa distorsione di significato è comprensibile, a partire dall’etimologia della parola umiltà: essa, infatti, deriva da “humus” (fango) allude alla posizione infima di chi è prostrato nel fango e nella polvere, senza aver neppure il coraggio di alzare la testa.

Queste affermazioni ci permettono di intuire una nuova concezione dell’umiltà: essa non è altro che piena, profonda conoscenza ed accettazione serena di sé, delle proprie luci e delle proprie ombre, riconoscendo che ogni luce proviene da Dio e che ogni ombra proviene da noi.

È possibile parlare di disagio psichico nella vita consacrata? È possibile che quanti hanno accolto l’invito del Signore a vivere un amore perfetto, vivano un’affettività malata?

—  Ci sono condizioni stressanti

—  Contesti relazionali difficili e competitivi.

—  Condizioni relazionali o pastorali che mettono a dura prova la struttura psichica della loro personalità e lo stesso processo di maturazione umana.

—  Storia psichica di vulnerabilità e di disagio, essa s’abituerà ad attivare dei meccanismi nevrotici particolarmente negativi.

Intimità con se stessi, intimità con gli altri

Per raggiungere una sufficiente maturazione affettiva, e così portare avanti il nostro “apprendistato” nell’amore, bisogna partire da se stessi. Molte persone consacrate hanno sperimentato nella loro infanzia o adolescenza situazioni in cui non sono state amate o l’affetto è stato loro offerto in modo inadeguato. Queste esperienze non tolgono nulla al valore della loro scelta consapevole di donarsi a Dio. Ma certamente li hanno condizionati nella formazione della propria identità e tuttora contribuiscono, a livello inconscio, ad alimentare sentimenti di inferiorità che rendono ancora più povera la loro immagine di sé.

Sono persone che sperimentano un profondo senso di inadeguatezza, se non addirittura di indegnità, che alimenta paure e angosce tali da portarli a prendere le distanze dagli altri. Se la persona non prende in mano la situazione del proprio cammino evolutivo, o non è aiutata a farlo, può arrivare a vivere in modo sempre più isolato, pauroso degli altri e quindi prevenuto e pessimista nei loro confronti.

Intimità e maturità sono strettamente legate; perciò diciamo che quanto più una persona accetta se stessa tanto più gli sarà possibile accettare gli altri. E guardarsi dentro per capire cosa è andato storto nelle prime esperienze relazionali della propria vita è la prima condizione per progredire verso la maturità affettiva.

Un tesoro nascosto tra le nostre paure

Il nostro mondo affettivo ha un ruolo centrale nella vita di relazione e nella vita spirituale. Il supporto della nostra affettività è essenziale per innamorarsi di un ideale e farlo diventare motore della propria vita a tutti i livelli. Il contenuto e le modalità d’espressione del nostro mondo emotivo ci rivelano la verità del nostro Io più profondo.

Se è vero che tutti – consacrati e consacrate – iniziano il cammino vocazionale motivati da un’esperienza di innamoramento per la persona di Cristo e per il suo progetto di dedizione totale al disegno salvifico di Dio Padre, è anche vero che non tutti partono da un’identica condizione di maturità affettiva.

ATTRAVERSO L’ALTRO

Ogni persona che vive non può prescindere dall’altro. A maggior ragione questo è vero se vuole crescere nella conoscenza di sé. La categoria dell’alterità è decisiva per la vita dell’uomo in tutte le sue dimensioni. L’altro con la sua esistenza, il suo esser-ci, e con la sua diversità, l’altro permette di scoprire non solo se stesso e il mondo che ci circonda, ma noi stessi... Ma come persone adulte

Se nella relazione con gli altri aspiriamo è un’istantanea comprensione, un’e immediatamente appagante, un amore coinvolgente e un’intesa a tutto tondo... stiamo sognando! Tali aspettative sono il segno che un bisogno simbiotico infantile è rimasto come una ferita aperta nell’inconscio e condiziona pesantemente l’individuo, portandolo a rifuggire le esigenze di un rapporto affettivo adulto. Quest’ultimo richiede disponibilità all’incontro con chi è diverso da sé, decisione di rischiare sulla fiducia, coraggio dell’autonomia, capacità di rimettersi sempre in discussione, gratuità... Quando non sono presenti questi atteggiamenti si finisce per delegare inconsciamente all’altro la responsabilità di rispondere al proprio bisogno di significato personale

 

Non sotrarsi alla vita piena

L’invischiamento affettivo, la superficialità nelle relazioni, la fuga dall’incontro aperto con l’altro sono tutte espressioni della paura. Manifestano un unico movimento: la fuga da se stessi, dal proprio mondo emotivo perché lo si vive come un pericolo, qualcosa di minaccioso; poiché è fragile e vulnerabile, potenziale portatore di delusioni e sofferenze.

Il rapporto con Dio fondato su una falsa immagine di sé, o costruito a prezzo di non guardarsi in faccia così come si è, finisce per essere un rapporto falso, una fuga nello spiritualismo. Si giunge a Dio solo passando attraverso il deserto dell’incontro sincero con se stessi.

 

Michela Pensavalli

 

 

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