Michela Pensavalli – ORIGINI DI UNA DIPENDENZA AFFETTIVA

Rapporto instaurato durante l'infanzia con i genitori

Esiste una invariante genitoriale nella quale i genitori hanno lasciato insoddisfatti i bisogni infantili costringendo i bambini, i cui bisogni d’amore rimanevano inappagati, ad adattarsi imparando a limitare i loro bisogni. Sono genitori spesso rifiutanti, evitanti o freddamente comunicativi, che agisco senza trasporto emotivo.

C’è anche una invariante infantile dove il bambino potrebbe mantenere il suo equilibrio affettivo cercando di minimizzare un comportamento dipendente verso un genitore che ha queste caratteristiche. Lo sviluppo emozionale può diventare deviante e condurlo a problemi emotivi e comportamentali, compresa la scelta di partners non disponibili affettivamente. Il processo di limitazione può portare a pensieri come: “I miei bisogni non hanno importanza”o “non sono degno di essere voluto bene”.

Da adulti, questi "bambini non amati” dipendono dagli altri per quanto concerne il proprio benessere psico-fisico e la soluzione dei loro problemi. Vivono nella paura di essere rifiutati, scappano dal dolore, non hanno fiducia nelle loro capacità e si giudicano persone non degne d’amore.

Tra le peculiarità della storia personale e familiare condivise da chi è coinvolto in un problema di dipendenza affettiva ci sono:

  • la provenienza da una famiglia in cui sono stati trascurati, soprattutto nell’etĂ  evolutiva, i bisogni emotivi della persona;
  • una storia familiare caratterizzata da carenze di affetto autentico che tendono ad essere compensate attraverso una identificazione con il’altro significativo, un tentativo di salvare lui/lei che in realtĂ  coincide con un tentativo interiore di salvare se stessi;
  • una tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita relazionale, piĂą o meno inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si è tentato a lungo di cambiare affettivamente, in modo da poter riprovare a ottenere un cambiamento nelle risposte affettive pressochĂ© inesistenti ricevute nella propria vita;
  • l’assenza nell’infanzia della possibilitĂ  di sperimentare una sensazione di sicurezza che genera, nel contesto della co-dipendenza, un bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e l’altro che viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.

Come uscirne?

—  Destrutturare ed interrompere la dipendenza dall’altro, lavorando sul superamento dell’isolamento e sul recupero di risorse sociali presenti nella vita del / dei co dipendente/i ed accantonate, e proseguire inserendo nuove risorse esterne di supporto.

—  Individuare strategie di alleggerimento del carico di lavoro e della pressione dei compiti di ruolo, condizione materiale primaria per il costituirsi di una situazione di isolamento e dipendenza.

—  Strutturare spazi personali di investimento e su questi sperimentare il dissenso con il partner e l’affermazione di sé.

—  Non obbligarsi sempre ed in ogni caso a sottoporre al giudizio e consenso dell’altro le proprie scelte.

—  Elaborare una percezione di sé più realistica, rivedendo e riscoprendo le proprie risorse e capacità (non perse, ma accantonate).

—  Rivedere un progetto di vita più a lungo temine con la possibilità di pensare e programmare anche la vita senza il partner (superamento della paura di stare sola) da ogni punto di vista (affettivo, relazionale, economico).

—  Informarsi delle relazioni e delle reti di supporto adatte a sostenere la persona nei percorsi di uscita dalla co dipendenza affettiva.

Rapporto ragione / sentimento

 

         E’ indispensabile riconoscere il ruolo di questi elementi nella propria vita per poter identificare la dipendenza affettiva. Ogni elemento ha delle funzioni ben precise:

—  La ragione vede, valuta e orienta.

—  Il sentimento anima, sostiene, infonde energia ed entusiasmo.

—  Nella persona matura le due componenti sono in armonia.

—  Quando questa armonia manca c’è una scarsa oggettività, per tanto una difficoltà nel percepire correttamente la realtà umana e sociale, che diventa un atteggiamento egocentrico.

Questo può essere un esempio:

         “ Desidero essere una suora con la mente ben a posto, formata, e non una “bambina”. Questo vocabolo mi suscita vergogna nel sentirlo dire a mio riguardo, anche se da me stessa. Però devo confessarlo sinceramente, che sul lato affettivo la mia mente è ancora bambina. Tante volte in questi giorni ho sentito, anche se con minore impeto, e ho desiderato di gettarmi al collo del direttore spirituale per colmare di baci il suo volto, ma ho sofferto molto a riguardo, e tutte le volte che in me è subentrato ciò, non ho fatto altro che reprimere o ridere, e nel medesimo momento inquietarmi di questo mio modo di sentire da bambina. In me c’è qualcosa che non riesco a capire. Non so se ciò lo voglio oppure no”.

—  Un altro pericolo e la cocciutaggine che comporta rigidità nelle opinioni o nei giudizi personali privi di motivazione oggettive e razionali. Si arriva a un dogmatismo intransigente e giudizi inappellabili, questo è tipico delle religiose abituate al comando. Inoltre l’incapacità di accettare il parere altrui, di dialogare alla pari, di ammettere di non essere infallibili.

Logicamente questo comporta la non accettazione dei propri limiti, cioè l’incapacità di accettare i difetti, le esperienze negative del passato o la situazione umiliante della famiglia

Michela Pensavalli

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