Ortiz de Montellano – Vedere con il cuore (2ª parte)
VEDERE CON IL CUORE:
LA BELLEZZA DEL GENIO FEMMINILE DELLA DONNA CONSACRATA (PARTE 2)
Nel nostro giornalino del mese scorso abbiamo iniziato la riflessione sul genio della donna. Dopo aver fatto una breve introduzione, cerchiamo di inquadrare il termine attingendo al pensiero di Giovanni Paolo II. In questo secondo articolo vogliamo dare continuità e descrivere ancora meglio quanto il Papa Wojtyla pensava sull’apporto che la donna offre con il suo genio alla famiglia umana.
Dopo aver indicato le linee essenziali della lettera apostolica Mulieris dignitatem del 1988 e dell’udienza del 23 luglio 1995 , rivolgiamo ora l’attenzione alla Lettera alle donne del 1995, scritta in occasione della Conferenza di Pechino
La lettera inizia al numero 2 con un ringraziamento: Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani. È commovente sentire il Papa parlare con la venerazione ed il rispetto per la donna che troviamo in queste parole. Mi soffermo, in particolare, all’omaggio alle donne consacrate: Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Questo breve testo è di grande importanza perché rileva il contributo profondo della donna consacrata nell’ambito spirituale e sponsale. Grazie alla sua dedizione e familiarità con Dio, la consacrata è in grado di essere testimone dei valori che non si vedono. D’accordo con Edith Stein la specificità della donna consiste essenzialmente nella sua particolare ricettività per l’azione di Dio nella sua anima. Questa specificità raggiunge la sua cima se la donna si abbandona all’azione divina fidandosi e senza resistenza[1]. La religiosa per vocazione è chiamata a essere un segno delle realtà future, escatologiche: la sua presenza nello stesso tempo dolce e forte parla del cielo, della tenerezza divina, della semplicità, del sacrificio umile e silenzioso di sé.
Davanti a una donna consacrata sperimentiamo certamente la presenza del sacro, la bellezza di un altro mondo, e nascono in noi spontaneamente la riverenza e l’ammirazione. Basta un poco di attenzione per rendersi conto della meraviglia che brilla negli occhi dei bimbi quando guardano alla religiosa che si prende cura di loro. Questo si osserva, in modo speciale, nei bimbi piccoli tra i 3-6 anni. Si tratta di uno sguardo pieno di purezza, di dolcezza, di ammirazione, di amore davanti alla donna consacrata. Come è nato uno sguardo di questa indole? In precedenza la religiosa si è donata a se stessa con amore disinteressato con il genio propriamente femminile. Gli occhi puri del bambino percepiscono tale dono e rispondono con compiacenza. In questo modo, una donna che ha rinunciato a un matrimonio con un uomo e ad avere i propri figli, si converte in una speciale immagine di sposa e di madre, con la ricchezza propria del genio femminino.
Aprirsi con docilità all’amore di Dio, ad esempio della Vergine, è il cammino che percorre quotidianamente e con particolare semplicità ogni consacrata. Con frequenza si accusa la donna di essere complicata, cioè di non possedere quella semplicità alla cui facevamo riferimento, e che è il pregio meraviglioso del genio femminile. In realtà questa critica non è giusta. Certamente è da precisare che la donna è complessa, vale a dire, è una creatura in cui entra in gioco contemporaneamente un insieme di elementi che non possono essere analizzati indipendentemente gli uni degli altri. Questi elementi sono connessi tra di loro e, per tanto, vanno considerati nel suo insieme, appunto nella sua complessità. Basta pensare alla capacità femminile di essere attenta simultaneamente a diversi problemi. Forse questa complessità femminile è dovuta alla sua splendida missione di essere “l’aiuto adeguato dell’uomo”, conducendolo alla verità del dono di sé. Grazie a ciò che la donna gli è più intima nella sua struttura si fa dono e si trova in condizioni di condurre l’uomo alla gioia dell’amore che si dona, in questo modo si stabilisce un vero dialogo dei doni. Essere dono significa essere altruista, avere il proprio centro nell’altro. Per tanto, quando guardiamo il “fenomeno donna”, detto con grande rispetto e venerazione, diciamo una realtà umana complessa ma bella e dolce capace di abbellire e arricchire la vita. Senza il dono della femminilità e del suo genio caratteristico, la vita umana si disumanizza, s’impoverisce e si avvia alla sterilità e morte. In maniera opposta, la dove si trovano la vera femminilità e una donna autentica, la vita umana cresce e si fa bella e armoniosa. Senza il dono femminile la vita non può essere dono. Per tanto, la complessità nasce appunto della sua dignità e vocazione, della sua incantevole natura. Essere focolare che accoglie la creatura umana, la protegge e custodisce, la nutre e fa crescere, richiede non poche virtù e facoltà umane. Anzi, richiede un cuore materno. Paradossalmente solo quando la donna nella sua complessità perde la grazia della semplicità e della dolcezza, diviene complicata.
Nella pastorale e nell’azione apostolica, la consacrata diviene modello della risposta sponsale a Dio che vuol stabilire con la sua creatura una comunione profonda. La religiosa è chiamata a essere testimone della docilità all’azione di Dio. Fa suo il cuore di Dio e l’amore divino per la creatura umana. L’etimologia della parola sposa ci aiuta a comprendere quanto il Papa ha voluto esprimere. Spōnsu(m) ‘promesso sposo’ e spōnsa(m) ‘promessa sposa’, proviene del latino, derivato del participio passato di spondēre ‘promettere solennemente; impegnarsi. La sposa è, per tanto, chi promette se stessa in modo solenne all’amato, colei che corrisponde all’amore ricevuto. In modo speciale la sposa consacrata è colei che acconsente all’amore dello Sposo divino. Questa promessa solo può nascere perché in precedenza la creatura è stata amata dal Signore con un amore incondizionato. Nel termine sposa va implicata la donazione sincera di se stessa agli altri. In questo senso possiamo dire che nella misura in cui la creatura umana diventa sposa, in questa misura realizza se stessa e trova la sua verità.
Quanto dice il Cantico dei Cantici, è pienamente applicabile alla religiosa che acconsente dolcemente all’amore di Dio: 9 Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! (Cant. 4,9). Si sa che l’inclinazione della creatura è ad amare ed essere amata, sussistendo nell’uomo e nella donna, si manifesta più chiaramente nella femmina. L’esperienza umana viene a confermare quest’asserzione: la donna come appare fenomenologicamente nel mondo, e nella misura in cui vuol essere veramente donna, è la creatura più amabile.
Il Cardinale Carlo Cafarra ha espresso con molta chiarezza il mistero sponsale della donna e il bisogno che abbiamo della manifestazione del genio femminile: L’uomo in quanto tale - dice -rappresenta a Dio che ama. La donna, invece, è il simbolo della creatura personale che riceve l’amore per amare a sua volta. In questo modo la realtà profonda della creatura è più manifesta nella donna che nel maschio. Perciò la Rivelazione insiste nella visione dell’umanità e del popolo di Israele come la Sposa amata, alla quale si chiede corrispondenza. Di conseguenza l’espressione più completa della creatura, nel suo essere più intimo, si manifesta meglio e di più nella donna e non nel maschio. Questo è una verità metafisica, ma è anche un dato di esperienza: tutti sappiamo che la donna, precisamente in quanto tale, in quanto donna e nella misura in cui sa essere donna, è la realtà più amabile. In questo senso si capiscono molte caratteristiche della femminilità: come l’istinto che muove la donna ad essere amabile, attrattiva ( e qui non facciamo riferimento solo ne in primo luogo all’attrattiva fisica, ma soprattutto, alla dimensione psichica e spirituale: la simpatia, la tenerezza, la pazienza, la pietà La dolcezza La letizia. Per la stessa ragione, si capisce molto bene, la ripugnanza che inspira una donna che sia spiacevole, aggressiva, aspra etc. Nell’amore l’iniziativa è sempre di Dio. Il proprio della creatura è corrispondere (cum-rispondere, dalla stessa radice di sposa). Alla creatura spetta sapersi amata e corrispondere con reciprocità all’amore divino. Questo è amore sponsale. Perciò si può dire che la donna è un’immagine più trasparente diafana, limpida, della creatura umana. Non invano le grandi realtà sono nominate al femminile: l’umanità, la sapienza, la chiesa, la verità etc. La creatura è fatta per amore e in vista dell’amore. Il vero amore non è possessione ma dono di sé. In conseguenza, la femminilità esprime di modo più chiaro il carattere amoroso della creatura personale. Noi abbiamo bisogno di questa manifestazione del genio femminile, per riconoscerci come frutto e termino dell’amore divino. La donna deve farsi presente nel mondo, come donna, offrendo tutta la ricchezza della sua femminilità, che in fondo è la sua forza morale, la coscienza che Dio ha affidato a Lei l’essere umano. Gli uomini tutti, maschi e femmine, siamo stati “affidati da Dio alla donna”. Un
affidamento che non è in primo luogo di carattere biologico, ma psichico e spirituale[2].
[1] Caffara Carlo, Ética general de la sexualidad, Ed. internacionales universitarias, Eiunsa, S.A., Barcelona 1995, p.19
[1] Edith p. 79