P. Carlos Palmes SJ- LE CINQUE PIAGHE DELLA FORMAZIONE RELIGIOSA E LA LORO CURA

 

Voglio cominciare specificando che nella critica che farò non rientrano indiscriminatamente tutti gli Istituti religiosi. Vi è un buon numero di Congregazioni e di Case di formazione che stanno facendo grandi sforzi per dedicare ad essa il personale più idoneo e tutto il tempo necessario. Si sono  fatti grandi progressi nella formazione in vari settori della Vita Religiosa. Mi rivolgo soprattutto agli Istituti religiosi che proseguono anno dopo anno, ad applicare alcuni principi e metodi di formazione, ereditati dalla tradizione, che non sono stati revisionati adeguatamente e che producono perciò, effetti deplorevoli, non solo in vista degli orientamenti per la vita consacrata, ma soprattutto nelle persone concrete: perdita smisurata di vocazioni, tensioni e angustie esistenziali, persone "depresse", fragilità vocazionali, insicurezze per la scelta fatta, mediocrità collettiva. Mi pare un grave peccato di omissione fornire oggi una formazione superficiale o parziale. Dio regala queste vocazioni a una Congregazione ed esse seppelliscono allegramente i talenti che invece, devono produrre grandi frutti per il Regno di Dio.

Si può affermare senza timore, che la qualità umana e spirituale di una Provincia e di un Istituto dipende dalla qualità della formazione iniziale. Una buona formazione dona come risultato, Religiose(si) centrati nella vita e solidamente preparati per svolgere un apostolato nel mondo di oggi. Una formazione mediocre è la causa che crea soggetti insicuri, esposti a continue crisi vocazionali, incapaci di assumersi incarichi come superiori o formatori o di dedicarsi ad apostolati esigenti.

L’insufficiente formazione nello Iuniorato, mi pare sia la piaga del costato, la più grave, in un buon numero di Istituti religiosi, soprattutto femminili, senza escludere i maschili. Gli Istituti clericali hanno la gamma degli studi di filosofia e teologia indispensabili per il sacerdozio. Nel campo degli studi sogliono avere una buona preparazione, che oggi è frequente rendere estesa anche ai Fratelli laici. Però non tutti danno la debita importanza e intensità alla formazione spirituale, alla vita comunitaria, all’accompagnamento personale, a un apostolato convinto.

Un criterio nefasto

La fonte dello sconcerto, a mio parere, è il criterio con il quale si danno le destinazioni agli (alle) juniores al termine del loro noviziato, il criterio delle urgenze apostoliche della Provincia. Secondo la domanda apostolica li si invia alle diverse comunità. Si fa loro attendere alle varie opere, alle attività di una comunità, e non debitamente alla persona. Il criterio corretto dovrebbe essere: ciò che più conviene alla formazione dei (delle) iuniores. Tutti i mali che poi seguono, sono conseguenza di questo male iniziale.

Quasi tutti pongono come giustificazione la mancanza di persone. Senza dubbio mancano le persone. Però questa non è la ragione vera. Si avrebbero doppi numeri di persone, si duplicherebbero anche le opere. Gli Istituti che danno una buona formazione, per caso, non hanno anche loro scarsità di persone? E senza dubbio, dedicano alla formazione iniziale 8, 10 o 12 anni, senza fretta, senza lasciarsi condurre da pressioni esterne. In questi Istituti tutti sanno che devono "osservare digiuno e astinenza" durante gli anni e che non possono disporre dei (delle) giovani per far loro assumere responsabilità importanti nelle opere e nei ministeri.

La vera causa delle crisi risiede nell’avere una scala di valori distorta. Nel non aver accettato anche, che la Formazione è la "prima priorità" di un Istituto e che solo una buona formazione è capace di dare Religiose/si eccellenti. Il criterio non può essere quello delle urgenze apostoliche, ma quello delle esigenze di una buona formazione.

Crisi istituzionale

Vi sono alcuni ambienti e comunità nelle quali essere iuniores/a è sinonimo di "essere in crisi". Però la crisi non è tanto personale, quanto piuttosto "istituzionale". Se in una Congregazione quasi tutti gli iuniores sono o sono stati in crisi, è chiaro il segnale che il problema è nella cattiva organizzazione dello Iuniorato, è un problema strutturale che crea un disagio esistenziale nel quale le persone vengono a trovarsi.

Dedico abbastanza tempo a dare Esercizi Spirituali e ho occasione di parlare con molti/te religiosi giovani. In molti di loro la parola "crisi" è abituale. E in molti di loro non si giustifica. Sono giovani con una vocazione chiara, che si sentono realizzati nell’apostolato, che hanno una profonda sete di Dio e anelano a vivere una autentica comunità fraterna. Però che succede?

-     Il più frequente è che gli vengono date responsabilità apostoliche che assorbono tutta la persona e allo stesso tempo devono compiere gli studi universitari esigenti e devono fare orazione personale ed essere presenti negli atti comunitari, senza un giorno di riposo. Alcuni devono sacrificare la notte per poter studiare. A volte il risultato è un sovraccarico e una disintegrazione, una vita inumana, creatrice di tensioni che è impossibile sostenere per molto tempo.

-     Anche sogliono inviarli alle comunità con molte necessità apostoliche, in accordo con il criterio già detto. Però non sempre si tiene in considerazione l’ambiente e le persone che formano la comunità. Vi sarà qualcuno che possa dare un accompagnamento vicino agli iuniores? Nel noviziato si è iniziato uno stile di vita comunitaria che ha fatto scoprire la gioia della convivenza fraterna basata sulla comunicazione personale, sulla orazione comunitaria, in un ambiente di confidenza nel quale ognuno si sente "a casa" e si sono cominciate a formare belle amicizie con i compagni (gne). Questo fa sognare una continuazione di questo stile comunitario nella relazione con altri fatelli (sorelle), chiaramente, in modo differente e più realista. I primi giorni la (il) giovane è ricevuto con grande allegria e affetto. Però poco a poco avverte che in questa nuova comunità ciò che conta è l’efficenza apostolica. Tutti accorrono ai loro impegni, quasi senza il tempo di incontrarsi di persona per tutto il giorno. E la (il) giovane comincia a sperimentare una grande solitudine. La vita comunitaria in molti luoghi è una semplice "vita in comune", nella quale si realizzano certi atti comuni come preghiera, pranzi, Eucaristia... però manca la profondità delle relazioni personali "nel Signore" che portano a una autentica amicizia fraterna.

P. Carlos Palmes SJ

 

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