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Parisi Nicola – Il ragazzo al centro

IL RAGAZZO AL CENTRO

Esperienze e riflessioni di un insegnante di religione

Nicola Parisi
Docente invitato all'Istituto Superiore di Scienze Religiose, Regina Apostolorum

parisiErano passate poco più di 48 ore dagli esami della sessione estiva del biennio filosofico della Facoltà teologica che stavo frequentando a Napoli e, non avendo ancora smaltito lo stress e la tensione nervosa degli esami, decisi di fare una piccola passeggiata nella piazza centrale del mio paesino, situato in collina, che distava circa duecento metri dalla mia abitazione. Nel caldo della mattina, strada facendo, incrociai il vecchio sacerdote della parrocchia limitrofa che, nel salutarmi, si congratulò con me per gli esami che avevo sostenuto brillantemente. Poi aggiunse: “sbrigati a sostenere gli esami così potrai insegnare Religione, sostenerti all’università ma soprattutto ti prenderai cura dei giovani ai quali dovrai comunicare qualcosa di esistenziale”. Fissando poi lo sguardo acuto nei miei occhi, concluse: “ricordati che gli studenti non sono dei contenitori che dovrai riempire di nozioni e che vi accomunerà una fisionomia cristiana ben precisa”. Non capii il significato di quelle parole ma me ne andai contento per l’augurio con il quale il vecchio parroco mi aveva congedato. Nel salutarmi mi incitò a fissare un colloquio con il Vicario Generale della mia diocesi di appartenenza e di chiedergli esplicitamente informazioni in merito all’insegnamento di Religione Cattolica, nelle scuole statali. Il pensiero di fare un’esperienza nell’ambito della scuola mi emozionò profondamente e infatti, alcuni giorni dopo chiesi ed ottenni di conferire con il Vicario il quale rivestiva anche la funzione di Direttore dell’Ufficio Scolastico diocesano. A seguito di quel colloquio, nell’Ottobre dell’86 ebbi il mio primo incarico annuale come IRC in una Direzione Didattica, nell’alto casertano, poco distante dal mio paese.

Nel corso degli anni, imparai a dare, nell’ambito dell’insegnamento, la priorità al profilo dell’allievo; l’esperienza mi insegnò a distaccarmi sempre più da una scuola di stampo tradizionale, che poneva la sua centralità sui “saperi”; ad orientarmi verso il soggetto scolastico, l’alunno, portatore e destinatario di tali saperi. Nella mia formazione professionale influirono molto gli anni di servizio prestati in classi o scuole caratterizzate fortemente da profondi disagi economico-sociali; il modello di una scuola che non poteva accontentarsi di comunicare un sapere “parcellizzato” era sempre più lontano da me. Percepivo il bisogno di portare l’alunno verso competenze unitarie, anche se avevo una grande difficoltà nel trasformare tali idee in un piano di lavoro. Intuii che ciò sarebbe stato possibile solo supponendo l’apporto delle diverse discipline: se sarei stato capace di farmi promotore dei cosiddetti saperi trasversali che mirano alla formazione integrale del ragazzo, se sarei stato capace di farmi pomotore di una cultura del dialogo, allora nel mio piccolo, avrei potuto offrire a dei ragazzi che vivevano particolari disagi sociali ed erano privi di particolari motivazioni culturali, un insegnamento accattivante e coinvolgente. Avrei forse saputo motivarli e in qualche modo dare un piccolo contributo positivo al fenomeno dilagante della dispersione scolastica, vero flagello delle mie zone dell’alto casertano. Certo, percepivo tutta la difficoltà nell’impostare un lavoro didattico che avesse come fulcro della mia attività didattica dei ragazzi che forse avevano optato per l’IRC solo per questioni familiari e quindi, di conseguenza, non chiedevano un impegno didattico particolare: doveva per loro essere l’ora sei compiti da svolgere o l’ora di prolungamento della pausa didattica. Con uno sguardo retrospettivo, forse oggi potrei dire che non stavo prendendo in considerazione espressamente i contenuti di una programmazione che avrei dovuto svolgere, ma che avevo deciso di mettere al centro della mia attività didattica alcuni ragazzi che stavano vivendo un dato momento particolare della loro evoluzione psicofisica, che stavo dando attenzione a dei ragazzi che facevano parte di una comunità dalle specifiche caratteristiche, che avevano, insomma, una loro singolare consistenza ontologica e si proponevano come “orizzonti di valore” per l’attività didattica. Il mio compito sarebbe stato quello di formare personalità valide, di offrire ad alcuni studenti gli strumenti necessari per leggere in modo autonomo e critico, ovviamente in proporzione alla loro fase evolutiva preadolescenziale, segni cristiani nel proprio contesto sociale caratterizzato invece da forti tensioni e da un disagio etico. Oggi, come insegnante di Religione che presta servizio presso il Liceo Classico “U. Foscolo” di Albano Laziale (RM), memore delle varie attività didattiche e progetti scolastici proposti, ma soprattutto con varie primavere alle spalle e con qualche capello grigio, mi sento di suggerire alle nuove generazioni di insegnanti di Religione Cattolica che sono entrati nella scuola o che si accingono ad entrarvi, di orientare la loro attività di docente non soltanto verso l’apprendimento di avanzati modelli di sapere, nel proporre idee e progetti o favorire competenze caratterizzate dall’efficienza e dall’efficacia della loro applicazione, ma di rivolgere la loro attività al fine di stimolare ed aiutare a crescere soggettività personalmente individuate e situate, in modo che possano vivere dignitosamente la loro vita; si sentano e si facciano promuovere una cultura del dialogo; favoriscano la loro partecipazione alla vita comunitaria; sappiano sviluppare proprie ed altrui potenzialità di lavoro professionale, in vista di una buona e valida qualità della vita individuale e comunitaria.

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