Parisi Nicola – La Sacra Scrittura fonte e modello di preghiera

La Sacra Scrittura: fonte e modello di preghiera

1.1 La preghiera: un tentativo di definizione

 

La difficoltà e il disagio che si prova nel dover dire cosa significhi “pregare” oppure nel dire cosa possa essere la “preghiera”, si percepisce nel momento in cui siamo chiamati a dare una definizione del termine, nel senso e nel significato più ampio possibile. Partendo da Gregorio Nisseno, che la considerava “oratio conversatio sermocinatioque cum Deo est”[17], passando poi per Giovanni Damasceno[18] che la definiva  “ascensus mentis in Deum” oppure “petitio decentium a Deo”, fino ad arrivare ad Agostino, che la riteneva “mentis ad Deum affectuosa intentio”[19], potremmo tentare un primo approccio di definizione. Scomodando anche altri Padri, da Origene a Tertulliano potremmo certamente avere un’idea più ampia e chiara sul significato del termine; rimarrebbe in noi, tuttavia, un senso di insoddisfazione in quanto, nonostante l’ausilio di queste grandi personalità, la difficoltà di giungere ad una definizione la più esaustiva possibile permarrebbe. Dall’indagine risulterebbe evidente un concetto: abbiamo a che fare con qualcosa di molto personale, di molto intimo, di nostro.

Potremmo iniziare col dire che la preghiera è la risposta dell’uomo al Dio che in qualche maniera si è mostrato per primo; l’uomo, di conseguenza gli si rivolge.

La preghiera potrebbe essere vista anche come atteggiamento dialogico personale di un uomo che si rivolge al suo Dio, in cui gli presenta il proprio essere con le sue necessità o felicità e che diventa campo di azione di questo Dio. La preghiera così intesa  metterebbe in evidenza la situazione dell’uomo e il suo rapporto con Dio[20]. Generalmente la preghiera deve fare i conti con “l’assenza” di Dio, nel senso che non è immediatamente presente o che non se ne può sperimentare la presenza; in tale contesto vuol essere l’espressione verbale di ciò che muove la persona nel legame con Dio, mediante la quale si supera qualsiasi tipo di distanza da Lui.

La preghiera, quindi, dal punto di vista umano, è il legame che l’uomo stabilisce con Dio al fine di renderlo più vicino, più prossimo. Nella condizione dialogica siamo soliti rivolgerci a Dio con cuore aperto; spesso però sperimentiamo in questi frangenti come Dio ci costringa a riflettere su noi stessi, a occuparci innanzitutto del proprio cuore. Nella preghiera non possiamo fuggire a noi stessi; Dio non si fa strumentalizzare; la prova l’abbiamo quando riaffiorano i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Così facendo la preghiera rivela il nostro stato interiore, ci costringe alla conoscenza di se stessi, ci spinge ad occuparci dei nostri pensieri, dei nostri umori che affiorano, ci spinge ad interrogarci sulle cause. La coscienza di sé non è però fine a se stessa ma serve per pregare meglio, per rimuovere tutto ciò che turba la preghiera o cerca di impedirla. In essa ci si presenta a Dio, entriamo al Suo cospetto la cui luce brilla dietro la facciata dei nostri atti e dei nostri pensieri rendendoci tutto più palese; si scoprono così le vere motivazioni delle nostre azioni, le cause dei nostri pensieri e dei nostri umori. Non è un monologo, una forma di narcisismo, bensì un dialogo, un incontro con un Tu. Dio non è solo il fondamento della nostra anima ma anche il nostro interlocutore. La preghiera ci aiuta a progredire dall’Io, prigioniero del conscio, al Sé, al vero nocciolo della persona, che unisce conscio e inconscio, Dio e uomo[21].

1.2 La preghiera: espressione dell’essere

 

La preghiera è qualcosa di estremamente semplice, qualcosa che nasce dalla bocca e dal cuore; è la risposta immediata che ci sale dal cuore quando ci mettiamo di fronte alla verità dell’essere. Sono momenti questi nei quali ci sentiamo come tratti fuori dalla schiavitù delle invadenze quotidiane, dalla schiavitù delle cose che ci sollecitano continuamente. Non è raro anzi, è quasi istintivo, che in questi momenti ci si senta particolarmente felici; in noi percepiamo una situazione di calma e di serenità, ci si sente pienamente se stessi. Ogni nostra preghiera, ogni nostra educazione alla preghiera parte dal seguente principio: la persona che vive a fondo l’autenticità delle proprie esperienze sente immediatamente, istintivamente, l’esigenza di esprimersi attraverso una preghiera.

Oltre la preghiera “dell’essere” c’è da tener presente la preghiera “dell’essere cristiano”. Essa non è semplicemente la risposta alla realtà dell’essere che ci circonda o alla sensazione di autenticità che proviamo dentro di noi, ma è frutto dello Spirito che prega in noi[22]. L’educazione alla preghiera consiste allora sia nel cercare di  favorire quelle condizioni che mettono la persona in uno stato di autenticità, sia nel cercare dentro di noi la voce dello Spirito che prega, per dargli spazio, per dargli voce. Arriviamo così alla caratteristica propria, specifica della preghiera cristiana: essa è dono diretto di Dio, è l’azione dello Spirito che prega in noi, che ci consente di rivolgerci al Padre nella verità cioè nella rivelazione che il Padre fa di se stesso in Gesù. La preghiera nelle altre religioni, nei vari sistemi filosofici religiosi, pur assumendo una forma altissima, pur insegnando tante cose sull’elevazione dell’uomo verso Dio, non ha lo stesso spessore di quella cristiana.

Queste brevissime riflessioni ci fanno percepire la difficoltà di lasciarci abitare da Dio, di aprirci a Dio, alla sua presenza; di riconoscere, dietro la banalità del quotidiano, Colui che viene a noi; di entrare in questo dialogo che cambia i nostri sguardi e i nostri modi di essere. I dubbi sulla preghiera attraversano tutti i campi della nostra vita: toccano la psicologia umana, il cuore dell’individuo, l’essere tutto intero. Non c’è un unico cammino per la preghiera; esistono mille modi per portare avanti il dialogo con Dio. La preghiera, come la fede, è quella porta d’ingresso che ci apre all’essenziale, che ci spinge a cercare, che ci guida più avanti alla scoperta di Dio, ma anche di noi stessi. Essa è la pietra angolare della fede, è il cuore della fede, in quanto vi si gioca l’incontro fra Dio e l’uomo, fra il Cristo e il suo discepolo. Il Dio cristiano parla all’uomo e desidera nel profondo che lo si ascolti e gli si risponda. La preghiera è il luogo di tale ascolto e risposta; è il luogo in cui Dio tocca il cuore delle persone e queste toccano il cuore di Dio.

Ciascuno di noi ha una propria irripetibile situazione di preghiera: irripetibile non soltanto perché è mia come persona diversa da un’altra, ma anche perché è mia in questo momento, e quindi è anche irripetibile nel tempo. Si tratta allora di saper riconoscere la propria situazione, di far emergere il proprio stato personale di preghiera. Volendo allora iniziare a esprimere veramente ciò che sento e ciò che desidero nel più profondo, ci si potrebbe chiedere quale atteggiamento bisogna assumere come espressione di preghiera. Tra questi atteggiamenti si potrebbe prendere in considerazione quello dell’orante, con le braccia alzate o le mani giunte in invocazione; l’atteggiamento di Gesù nell’orto, in ginocchio con la faccia a terra; quello delle mani in accoglienza, di chi guarda lontano e aspetta, come il padre che aspetta il ritorno del figlio o l’atteggiamento di chi attende qualcosa. Sembrano cose semplici o forse ridicole da mettere in pubblico, ma è proprio attraverso alcuni di questi gesti esprimiamo atteggiamenti consoni alla preghiera. E quando, come dice Gesù nel Vangelo di Matteo (Mt 6,6), chiusa la porta della camera, preghiamo il Padre nel segreto.

Affinché la nostra vita diventi lode, azione di grazie, offerta, bisogna leggerla e viverla alla luce del Vangelo. Bisognerebbe, come Gesù, accogliere tutto con spirito filiale: riconoscere il Padre in ogni dono, amare la sua volontà in tutte le cose, rendergli grazie per il suo amore sempre presente. Lasciandoci penetrare dal Vangelo, saremo capaci di chiedere all’Eterno Padre, in un dialogo sempre costante, di donarci occhi miopi per le cose che non valgono nulla ed occhi pieni di luce per ogni sua verità.

 

Nicola Parisi

[17] NISSENO G., Orat.I, De oratione Domini, P.G..,XLIV, 1124.

[18] DAMASCENO G., De Fide Orth, III, 24; P.G. XCIV, 1089

[19] Serm. IX, n. 3.

[20]Nella stessa direzione si pone anche il Rahner quando afferma che di per sé, ogni slancio del cuore che si rivolge direttamente a questo Dio è preghiera; cfr.: RAHNER K., Necessità e benedizione della preghiera, a cura di MARINCONZ L.-FRANCESCONI G., Brescia 1994, pag.46.

[21] Dal punto di vista della psicologia, Jung spiega la funzione positiva della preghiera per la conoscenza di sé da parte dell’uomo: la preghiera mette l’uomo nel dualismo dell’io e del tu ultraterreno. Tale dualismo consente all’uomo di evadere dal suo piccolo io per guardarsi da un altro punto di vista. Attraverso la preghiera, l’uomo, che normalmente vive troppo a livello conscio, può lasciare la parola anche all’inconscio. Jung definisce la preghiera un “colloquium cum suo angelo bono” e la concepisce come un dialogo con il proprio inconscio, che attraverso di essa può sviluppare le proprie forze benefiche e avviare una trasformazione psicologica e un processo di guarigione. Cfr.: JUNG C.G., Briefe, vol.I, Olten 1972, p.418; ID., Gesammelte Werke, vol. IX, parte I, Olten 1976, p.50).

[22] Rom 8,14-27.

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