A cura del Prof. P. Alberto Carrara, LC, Direttore del Gruppo di Neurobioetica
La misteriosa scrittrice americana Emily Elisabeth Dickinson (1830-1886), nota per la sua vita insolita e vissuta prevalentemente nella casa di Amherst dove era nata, in una sorta di quarantena, oltre alla sua nota poesia sul cervello “Il Cervello è più esteso del Cielo” (
The Brain is wider than the Sky) ha tra i suoi componimenti uno dedicato alla tempesta. Tradotto da Eugenio Montale nel 1945, questa poesia, la numero 1593, suona così: “
1 Con un suono di corno Il vento arrivò, scosse l’erba; un verde brivido diaccio così sinistro passò nel caldo
5 che sbarrammo le porte e le finestre quasi entrasse uno spettro di smeraldo: e fu certo l’elettrico segnale del Giudizio. Una bizzarra turba di ansimanti
10 Alberi, siepi alla deriva E case in fuga nei fiumi È ciò che videro i vivi. Tocchi del campanile desolato Mulinavano le ultime nuove.
15 Quanto può giungere, quanto può andarsene, in un mondo che non si muove!”.
Il Coronavirus che abbiamo tutti imparato a conoscere e che l’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO) nominò il 12 gennaio “2019-nCoV” (cioè nuovo coronavirus 2019) e la patologia connessa “COVID-19” l’11 febbraio, si è globalmente diffuso come una vera e propria “tempesta” in un mondo globalizzato e tecnologizzato che si muoveva frenetico e quasi inarrestabile verso la conquista dei suoi obiettivi di crescita, produzione ed efficienza, premiando con la fama quelle “
hard” e “
soft skills” tipiche delle nostre industrie 4.0.
Da mesi il silenzio, l’isolamento, il deserto delle nostre città, la solitudine dei nostri monumenti sono divenuti la nostra “tempesta” esistenziale.
In una suggestiva, quanto spettrale, Piazza San Pietro vuota, lo scorso 27 marzo Papa Francesco descrisse questo momento tragico con queste parole: “fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”.
Come ha recentemente messo in evidenza lo storico israeliano Yuval Noah Harari, da una parte, ci troviamo a vivere l’epoca migliore per poter affrontare clinicamente e tecnologicamente questa pandemia e questo grazie allo sviluppo della medicina molecolare, delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale. Sull’altro lato della medaglia la tempesta coronavirus sta smascherando le nostre vulnerabilità, lasciando scoperte quelle superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.
Il SARS-Cov-2 (il nuovo Coronavirus) non ha confini, non è soggetto a barriere, né a muri, colpisce tutti, non guarda in faccia nessuno, non considera i passaporti, il ceto sociale, il virus non legge i titoli sui nostri biglietti da visita. Ma lo stesso motivo per cui si diffonde, cioè la nostra comune appartenenza ad una stessa natura umana, ci fa riscoprire quel possibile antidoto in grado di immunizzarci per far fronte all’avversità: non siamo monadi chiuse in noi stessi, tutto è congiunto, tutti siamo intrinsecamente connessi uno all’altro nell’intreccio dell’essere per cui nessuno si potrà salvare da solo. Il coronavirus ci dovrebbe far risvegliare dalla frenesia assordante a cui eravamo abituati e che ora ci spaventa per il suo irriconoscibile silenzio. La pandemia che ci ha colpiti sottolinea come tutte le nostre esistenze siano profondamente in comunione tra loro, molteplici interazioni le concatenano, per cui oggi più che mai sentiamo sulla nostra pelle il brivido del comune legame al quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli. Nessuno di noi vive da solo, continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti… anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme” (
Papa Francesco, 27 marzo 2020).
All’orizzonte può esserci un grande problema, più a lungo termine, che riguarda il tema della sorveglianza e il controllo individuale attraverso il riconoscimento biometrico
che gli Stati potrebbero mantenere ed implementare anche dopo la crisi epidemica. Anche su questo Harari ci mette in guardia: “uno dei pericoli dell’attuale epidemia è che giustificherà misure estreme di controllo… Ma anche dopo di essa, questa idea rimarrà”.
Siamo chiamati a reinventare le nostre relazioni e a scoprire le nostre
deep skills, quelle relative alla nostra capacità empatica, al saper stare con gli altri, all’ascolto, alla solidarietà, ma pure alla moralità e alla responsabilità.
Per riflettere su questa situazione esistenziale che viviamo, il Gruppo di Neurobioetica e il BrainCircleItalia hanno organizzato una giornata dedicata al tema “L’epidemia al tempo dell’intelligenza artificiale. Una nuova antropologia per un mondo più sicuro?” che si è svolta il 23 aprile 2020 in diretta dalla pagina Facebook
Neuroscienze e Neuroetica.
Un
panel di altissimo spessore scientifico e culturale suddiviso in 5 sessioni ha dibattuto l’odierna contingenza epidemica in un confronto interdisciplinare a tutto campo. Oltre 5.000 persone hanno seguito l’evento.
La
digital revolution, può rappresentare una nuova forma di convivenza tra gli uomini che, nel rendersi utile per combattere i nuovi nemici rappresentati dalle epidemie, riconsideri gli attuali concetti di privacy e libertà. Emerge, allora, la necessità di un patto tra cittadini e istituzioni per ripensare le modalità di applicazione di quella che Hobbes definirebbe una nuova “legge di natura”. Ma quanto, dei nostri spazi identitari, siamo disposti a rinunciare per combattere queste minacce invisibili?
Presenta e modera:
Claudio Bonito. Dopo i saluti delle Autorità accademiche, introducono al tema:
Viviana Kasam, Presidente BrainCircleItalia e Padre
Alberto Carrara, Direttore del Gruppo di Neurobioetica.
La mattinata (10:30-12:30) si è articolata in due sessioni: nella prima, quella scientifica interviene
Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’ISTAT e
Luca Maria Gambardella, Università di Lugano, Istituto Dalle Molle di studi sull’Intelligenza Artificiale USI-SUPSI. Nella seconda sessione, medico-clinica, interviene
Matilde Leonardi, neurologo, pediatra, Direttore UOC – Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, Milano;
Nicolino Ambrosino, pneumologo – Istituti Clinici Scientifici Maugeri e
Stefano Mazzoleni, docente di Informatica e
Big Data Analytics – Politecnico di Bari.
Il pomeriggio (15:30-18:30) si è aperto con la sessione giuridica, intervengono:
Amedeo Santosuosso, direttore scientifico, European Centre for Law, Science and New Technologies (ECLT), Università di Pavia; Avv.
Tania Cerasella, avvocato, membro del GdN e Avv.
Emanuela Cerasella, Avvocato, Coordinatrice del Sottogruppo di Neurodiritto del GdN. Segue la sessione tecnico-analitico-filosofica in cui intervengono:
Damiano Sabatino, CEO Travelport e
Guido Traversa, filosofo, Università Europea di Roma – Coordinatore Master in Consulenza Filosofica ed Antropologia esistenziale. Il Convegno conclude con la sessione psichiatrica in cui intervengono:
Donatella Marazziti, medico psichiatra, Università di Pisa, Docente all’Università Unicamillus di Roma, Responsabile delle ricerche BRF Brain Research Fondazione Onlus e
Armando Piccinni, neurologo e psichiatra, Docente all’Università Unicamillus di Roma, Presidente BRF Brain Research Fondazione Onlus.
I due video restano disponibili sulla pagina
Facebook Neuroscienze e Neuroetica, ma potete anche prenderne visione su
YouTube cliccando di seguito:
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CONVEGNO "L'EPIDEMIA AL TEMPO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE" - I PARTE
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CONVEGNO "L'EPIDEMIA AL TEMPO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE" - II PARTE