Se l’agenda bioetica viene stilata tra le aule giudiziarie e quelle parlamentari

FECONDAZIONE ETEROLOGA. L’attesa è finita. Sono state depositate le motivazioni della sentenza del 9 aprile scorso, con cui la Corte Costituzionale ha annullato il divieto di fecondazione eterologa. E subito i giornali salutano quello che si profila come un nuovo diritto, il diritto al figlio. “Avere un figlio è diritto di tutte le coppie”, così Repubblica: e similmente Corriere della Sera, la Stampa e il Fatto Quotidiano. E’ quanto si evince dal testo della Consulta: la determinazione di avere un figlio è espressione della fondamentale libertà di autodeterminarsi e attiene alla parte più intima e intangibile della persona. Essa è perciò “incoercibile”, e non riservabile ai fertili o ai ricchi. Dunque via libera alla fecondazione eterologa per le coppie sterili.

Quella della Consulta è una “sentenza storica che ha fatto giustizia” (L’Unità, “Fecondazione eterologa. Ora un rete di servizi”); e sul Fatto Quotidiano Carlo Bulletti, capo dell’Unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’Asl Roma di Cattolica, paventa, con discussioni e battaglie politiche, un ritorno al Medioevo. Tutto fila liscio allora? Certo il testo della Consulta non invita a riflettere (Avvenire, “Eterologa solo per gli sterili. E ora il legislatore sia saggio”). All’indomani del deposito delle motivazioni, però, il Foglio mette sul tavolo la vera questione, a fronte della quale tutte le altre impallidiscono: il figlio, da oggetto di tutela per sé, diventa oggetto dell’altrui realizzazione (“Il diritto al figlio, un’enormità”). Titola Libero, a firma di Davide Giacalone: “Libertà di fare figli, ma non a danno del bebé”. A questi figli bisogna pur pensarci! E su Avvenire Nicolussi si chiede come i principi espressi dalla Corte possano integrarsi nell’ordinamento (“Figli dell’eterologa senza diritti. La Corte «dimentica» i piccoli”). Si aprono allora scenari inquietanti (Tommaso Scandroglio, La Nuova Bussola Quotidiana). O forse, meglio dar voce a ogni nostra aspirazione e tacere sul resto.

SE I TRANSESSUALI APRONO LA STRADA AI GAY. Altro caso per la Consulta. Riguarda Alessandro Bernaroli: sposato dal 2005, “cambia sesso”. Come previsto dalla legge 164/1992, il suo matrimonio con Alessandra è annullato. Ma la coppia vuol restare unita, così la donna transessuale (ora Alessandra) presenta ricorso. All’indomani della sentenza della Consulta, tanti i titoli erronei: per Repubblica, la Stampa e il Fatto Quotidiano, le nozze sono valide. In realtà, come riportato da Avvenire (“Cambio di sesso: le nozze sono annullate”) e Corriere della Sera (“Cambio di sesso dopo le nozze. «La leggi tuteli la coppia»”), le nozze restano nulle: il matrimonio è ancora tra uomo e donna! Semmai c’è la solita tirata di orecchie al legislatore, che non ha previsto un’unione alternativa per la coppia che non vuol separarsi. E i giornali cavalcano l’onda, quasi a fare il tifo per i giudici, che precorrono sempre i tempi. Alessandra e Alessandra saranno le prime “spose gay”?

FINE VITA. QUANDO SE NE PARLA A SPROPOSITO. Fa discutere l’intervista di “Viva la Vita onlus” a Mario Sabatelli, responsabile del centro SLA del Gemelli. Il neurologo parla di mezzi che possono rivelarsi sproporzionati in una fase avanzata: e se il bene del paziente fosse di lasciarlo andare? Apriti cielo! Pure gli ospedali cattolici praticano l’eutanasia. Così sul Giornale Francesca Angeli (“«Al Gemelli libertà di morire». Svolta dei medici sul fine vita”) e Vittorio Feltri (“Così l’ospedale del Papa lascia i malati liberi di morire”); e il Foglio con l’eutanasia al Policlinico della Cattolica. Poi la ciliegina sulla torta: l’ex-anestetista Giuseppe M. Saba parla della “dolce morte” procurata a centinaia di pazienti. Una prova della diffusione a macchia d’olio dell’eutanasia? Gli entusiasmi mediatici costringono Massimo Antonelli, direttore del Centro Rianimazione e Terapia Intensiva del Gemelli, a intervenire su SIR: altro è l’eutanasia, altro la desistenza terapeutica. E si parla di legge sul fine vita: è davvero necessaria o la soluzione a certi dilemmi risiede, codice deontologico alla mano, in un’alleanza terapeutica tra medico e paziente, famiglia ed équipe?

di Miriam Fiore

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