Tagliafico Angela – Comparazione degli itinerari spirituali Ignazio e Teresa
Comparazione degli itinerari spirituali di Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila
(Estratto dal libro di A. Tagliafico, Ignazio di Loyola e Teresa d’Avila, due itinerari spirituali a confronto, Edizioni ocd, Roma 2009).
1. L’importanza della conoscenza di se stessi e di Dio
Ignazio comincia i suoi Esercizi spirituali richiamando l’uomo alla conoscenza di se stesso attraverso: “ogni modo di esaminare la coscienza, di meditare, di contemplare, di pregare oralmente e mentalmente e di altre attività spirituali”.[1]
Tale conoscenza di se conduce la persona a: “preparare e disporre l’anima a togliere da se tutti i legami disordinati e, dopo averli tolti, di cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione della propria vita per la salvezza dell’anima”.[2]
Teresa comincia il suo Castello interiore paragonando l’anima umana a un castello: “fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo”.[3]
Quindi essa richiama a sua volta l’uomo alla conoscenza di se stesso: “È causa di non poca pena e vergogna il fatto che, per nostra colpa, non riusciamo a capire noi stessi né a sapere chi siamo”.[4]
L’uomo dunque, al fine di poter cominciare il suo itinerario spirituale, deve imparare a conoscersi, perciò Ignazio delinea subito chi è l’essere umano e la ragione per cui il Signore lo ha creato: “L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e per salvare, in questo modo, la propria anima e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo, affinché lo aiutino al raggiungimento del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l’uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutino a conseguire il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscano. Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create, in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga che quella breve e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo solo ciò che più ci porta al fine per cui siamo stati creati”.[5]
Anche Teresa chiarisce subito chi è l’uomo e il rapporto che intercorre tra lui e Dio: “Si, pressappoco sappiamo di avere un’anima, perché lo abbiamo sentito dire e perché ce lo insegna la fede. Ma i beni che può racchiudere quest’anima o chi abita in essa, o il suo inestimabile pregio, sono cose che consideriamo raramente. Di conseguenza ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si volge sulla rozza incastonatura di questo diamante o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo. Consideriamo dunque che questo castello contiene molte mansioni, alcune in alto, altre in basso ed altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella nella quale si svolgono le cose di maggiore segretezza tra Dio e l’anima”.[6]
In questo inizio di cammino spirituale l’uomo non si conosce ancora bene, però Dio conosce profondamente la sua creatura e desidera ardentemente comunicarsi a lei. Scrive Ignazio: “Lo stesso Creatore e Signore si comunichi alla sua anima devota abbracciandola con il Suo amore e la Sua gloria e predisponendola alla via nella quale meglio possa servirlo in appresso”.[7]
Teresa di rimando afferma: “Constatare la possibilità che, in questo esilio, un Dio tanto grande si comunichi a vermiciattoli così ripugnanti come siamo noi e ci spronerà ad amare una così eccelsa bontà e una così infinita misericordia”.[8]
A questo punto quindi, è importante che l’uomo prenda la risoluzione di entrare in se stesso, al fine di poter incontrare il Dio che lì lo attende. Scrive Ignazio: “Entrarvi con grande coraggio e con liberalità verso il suo Creatore e Signore, offrendogli interamente la volontà e la libertà perché la divina Maestà possa servirsi, secondo la Sua santissima volontà, tanto di lui quanto di tutto ciò che egli possiede”.[9]
Annota Teresa: “Ci sono molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, dove stanno le guardie e non si preoccupano di entrare in esso né di sapere cosa racchiuda una così splendida mansione, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia all’anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo”.[10]
Una volta entrato in se stesso l’uomo può iniziare il dialogo con il suo Creatore e nel contempo può cominciare a vedersi realmente per quello che è; scrive Ignazio: “Considerare la mia anima racchiusa in questo corpo corrotto e tutto l’insieme come relegato in questa valle tra bruti animali. Dico tutto l’insieme cioè di anima e corpo”.[11]
Afferma Teresa: “È ormai talmente inveterata l’abitudine di vivere con i vermi e gli animali che stanno nel recinto del castello che sono quasi divenute simili ad essi; tutto è inutile, nonostante l’eccellenza della loro natura e la possibilità di conversare nientemeno che con Dio. Se queste anime non cercano di comprendere la loro immensa miseria e di porvi rimedio, accadrà che, per non volgere lo sguardo a se stesse, si tramuteranno in statue di sale, come avvenne alla moglie di Lot per essersi voltata indietro”.[12]
A questo punto l’anima è in grado di vedere la nefandezza del peccato mortale. Esorta Ignazio: “Chiedere vergogna e rossore di me stesso nel vedere quanti, per un solo peccato mortale, sono stati condannati e quante volte io avrei meritato di essere condannato per sempre a causa dei miei tanti peccati”.[13]
Sostiene Teresa: “Lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui, anche se conserva la capacità di godere di Sua Maestà come il cristallo di riflettere in se il sole”.[14]
Quindi l’uomo è invitato a volgere lo sguardo sul Figlio di Dio. Scrive Ignazio: “Immaginando Cristo nostro Signore presente in croce, fare un colloquio: come sia venuto da Creatore a farsi uomo e da vita eterna a morte temporale e così a morire per i miei peccati”.[15]
Afferma Teresa: “O anime redente dal sangue di Gesù Cristo! Rendetevi conto di questo stato e abbiate pietà di voi stesse! Come è possibile che, acquistata tale consapevolezza, non cerchiate di togliere questa pece dal vostro cristallo?”.[16]
Ignazio e Teresa conducono l’uomo a un incontro a tu per tu con il Salvatore confitto in croce, che più eloquentemente di ogni discorso, attesta alla creatura come lei, nonostante le sue colpe, sia oggetto di amore, sia ancora e sempre amata.
Risulta chiaro da quanto si è appena detto, che per Ignazio e Teresa il frutto della fase iniziale del cammino spirituale dell’uomo non è la remissione prima o rinnovata dei peccati che egli ha commesso, ma è il senso che egli acquisisce, di essere un peccatore salvato e grandemente amato da Dio.
[1] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 1, in Gli scritti, Torino 1977, p. 91.
[2] ID, Esercizi spirituali, 1, p. 91.
[3] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,1,1, in Opere complete, Milano 1998, p. 857.
[4] ID, Castello interiore, I,1,2, p. 858.
[5] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 23, pp. 100-101.
[6] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,1,2-3, pp. 858-859.
[7] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 15, pp. 96-97.
[8] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,1,3, p. 859.
[9] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 5, p. 93.
[10] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,1,5, pp. 860-861.
[11] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 47, p. 108.
[12] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,1,6, p. 861.
[13] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 48, p. 108.
[14] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,2,1, pp. 863-864.
[15] IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, 53, p. 110.
[16] TERESA D’AVILA, Castello interiore, I,2,4, p. 865.