Tagliafico Angela – Crescere per educare

CRESCERE PER EDUCARE

(Angela Tagliafico)

PREMESSA

Il compito educativo si comprende nella prospettiva di una crescita personale umana e spirituale, poiché educare è essenzialmente uno scambio di amore che si concretizza nella trasmissione della propria umanità, del proprio vissuto interiore e della propria fede.

Crescere per educare significa impegnarsi in prima persona per trovare dentro di se la forza e il coraggio di presentarsi come adulti maturi ed equilibrati, sereni e accoglienti, fermi e pazienti, autentici testimoni di valori e di valori di fede.

Non esistono regole o ricette metodologiche universalmente valide che insegnino a educare correttamente e proprio per questo, per imparare a educare, nel senso di “educere”, “tirar fuori”, occorre investire le proprie energie nel conoscere se stessi e le persone che ci stanno davanti.

Per crescere occorre necessariamente saper ascoltare, nel senso di essere persone aperte, disponibili a cambiare.

Educare è penetrare nel mistero di una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio e per far questo occorre uscire dal proprio individualismo, pur mantenendo la propria individualità.

Crescere significa realizzare la propria maturità, autonomia e armonia. Solo nella misura in cui saremo adulti cresciuti, potremo metterci davvero al servizio dei ragazzi.

Parlare di educazione significa riferirsi a quest’azione pratica, ovunque presente e verificantesi in tutti i tempi, per cui la generazione più adulta si adopera a favore di quella giovane, per favorirne lo sviluppo di tutti gli aspetti della personalità.

Compito dell’educazione è indirizzare sulla strada dell’autonomia; occorre insegnare a un giovane a essere in grado di provvedere ai propri bisogni e a inserirsi in modo attivo e creativo, all’interno del tessuto sociale.

Da queste brevi e iniziali considerazioni scaturisce una prima domanda: come guidare un ragazzo verso la progressiva maturazione e realizzazione di se nelle varie dimensioni della vita umana e della vita di fede?

Uno dei possibili tentativi per trovare una risposta è frugare nei ricordi del nostro passato, alla ricerca delle figure più significative, quelle che hanno lasciato un segno fecondo nella nostra esistenza.

Indipendentemente dal ruolo ricoperto o dalla situazione educativa, queste persone hanno avuto la capacità di risvegliare in noi una curiosità, un fascino o un interesse particolare; hanno saputo trasmetterci le conquiste e la saggezza del loro vivere, il senso delle loro sofferenze e inquietudini. Altre volte sono state capaci di scuoterci dentro e far nascere i primi grandi perché dell’esistenza umana, quelli che ci hanno messo in cammino verso la ricerca dei primi valori e significati esistenziali.

Molte volte ci hanno rassicurato, confortato o semplicemente ascoltato e questo ci ha rincuorato, rinvigorito e sostenuto nel proseguio del nostro itinerario di crescita.

Una prima verità educativa è la seguente: ogni persona può donare solo e unicamente il suo essere, il suo vivere, le sue conquiste e la propria fede.

Per educare quindi, bisogna essere davvero adulti, perché le giovani generazioni ci osservano leggendo, nella profondità del nostro sguardo, il senso e il valore che attribuiamo alla vita e alla nostra vita di fede.

L’educazione si fonda poi, sull’amore autentico; ognuno di noi è cresciuto nella misura in cui si è sentito amato e accolto gratuitamente.

I giovani hanno bisogno di sentirsi stimati e investiti di un’autentica fiducia nelle loro potenzialità, perché solo così sono disposti ad aprirsi e a riconoscere la validità della mediazione adulta.

Conoscersi per educare è uno dei primi passi da compiere poiché tale consapevolezza libera dallo schema del dover essere dei perfetti educatori e permette di superare quel senso di inadeguatezza e incertezza del proprio ruolo educativo.

Un ulteriore segno di maturità è saper imparare dai propri errori educativi e ricercare i mezzi adeguati che favoriscono questo compito, che è anzitutto, lo ripeto, di crescita personale.

L’educatore deve sempre tendere affinché il ragazzo cresca:

1) nell’iniziativa personale e nel saper prendere delle decisioni autonome;

2) nell’esercizio della costanza e della perseveranza, nel raggiungimento di un obiettivo;

3) nella capacità di resistenza alla fatica di certi impegni;

4) nell’assunzione delle proprie responsabilità che non devono essere delegate;

5) nell’impegno personale tramite l’esercizio della propria volontà e autodisciplina;

6) nel trarre profitto dai propri errori e difficoltà, autentici maestri di vita.

Educare nella sua accezione più conosciuta è, come abbiamo già detto, “tirare fuori” e questo deve portare a una prima consapevolezza educativa: il ragazzo non è un vaso da riempire o da modellare, ma è una persona contenente una ricchezza e una unicità che si disvelerà nel corso dell’esistenza.

Educare significa favorire lo sviluppo di tutti gli aspetti della personalità umana, fisici, intellettuali, affettivi, del carattere e religiosi. Significa aiutare il giovane a divenire quello che è.

Il compito educavo è più di istruire, che si riferisce alla sola educazione intellettuale. Fine dell’atto educativo è quello di far emergere, rendere visibile e operante l’umanità di ogni persona nella sua singolarità e originalità; è guidare un soggetto alla piena e felice realizzazione di se, nel segno di una libertà autentica, intesa come capacità di operare nella verità e in quanto tale conquista lenta e faticosa. La libertà si pone alla fine del cammino educativo, durante il quale si sono appresi a riconoscere e stimare: la disciplina; il rispetto e il sacrificio. Virtù irrinunciabili dell’opera educativa.

L’educazione non consiste tanto nell’acquisire specifiche competenze in questo o in quel campo del sapere, piuttosto essa si fonda nel saper porre domande di senso e di significato, saper osservare e interpretare.

 

1. EDUCARE AL RISPETTO E ALLA RESPONSABILITÀ

1.1 Premessa

Nell’arte di educare spesso insorgono delle situazione conflittuali che, è bene sottolinearlo, fanno parte del processo educativo; tali conflitti non devono spaventare un genitore, poiché è proprio dallo scontro che emergono i vissuti più inconsci e profondi della realtà intrapsichica.

Ciò che emerge può essere trasformato e incanalato in modo positivo. Ciò che non affiora rimane nascosto e può causare conflitti motivazionali che restano sotterrati nella zona inconscia, sino a quando possono esplodere da un momento all’altro, in modo violento e del tutto inatteso.

Educare significa innanzitutto educarsi. Educare è l’impegno ad assumersi delle responsabilità. Educare è l’abilità di fornire adeguate risposte ai bisogni, desideri e aspirazioni del ragazzo, per permettergli di avviarsi sulla strada dell’autorealizzazione.

La virtù non consiste nell’essere educatori perfetti, che non sbagliano mai, ma nell’esercitarsi ad apprendere e affinare nuove abilità e nel fare tesoro dei feedback (segnali di ritorno. Ad esempio se alzo la voce procuro una reazione nell’altro che si manifesta attraverso un comportamento verbale o non verbale. L’altro può dirmi di smetterla di parlargli in questo modo o iniziare lui stesso ad alzare la voce. Un altro tipo di feedback non verbale si può verificare se il mio interlocutore si alza e se ne va, o se rimane ad ascoltarmi con aria arrabbiata e immusonita) che i ragazzi ci rimandano con i loro messaggi verbali e non verbali.

1.2 Il valore del rispetto

In quanto adulti abbiamo il dovere di stabilire delle norme e di dare testimonianza che aderiamo e crediamo, in modo intimo e coerente, in certi valori religiosi.

Le giovani generazioni hanno bisogno di sapere che cosa rispettiamo e cosa ci attendiamo da loro. Ovviamente nelle agitate acque del periodo adolescenziale, ci contesteranno e opporranno resistenza alle nostre regole: questa è una legge della natura umana.

Ciò che conta è rimanere nell’equilibrio della propria identità religiosa e insegnare, soprattutto dalla prima infanzia, il principio della responsabilità.

I ragazzi devono avvertire al più presto, che in ogni loro azione vi è una logica conseguenza. Insegnare che ad ogni azione corrispondono determinati effetti, educa nella direzione di atti decisionali maturi e religiosamente coscienti.

Se a scuola un giovane picchia un compagno, egli deve essere reso consapevole e responsabile del fatto che lui, e solo lui, risponderà di tale azione. Spesso invece, i genitori si schierano in difesa del figlio palesemente in torto e lo giustificano a oltranza, impedendogli così di assumersi le sue responsabilità.

Educare alla responsabilità vuole dire trasmettere dei valori. Tra questi particolare rilevanza assume il valore del rispetto.

L’educazione non si compie attraverso enunciati, bensì per mezzo di una coerenza fra ciò che si dichiara con le parole e il proprio comportamento. In termini comunicativi è la comunicazione non verbale che veicola efficacemente il messaggio educativo che si desidera trasmettere.

Nel dizionario della lingua italiana per il vocabolo rispetto troviamo le seguenti definizioni:

1) sentimento o atteggiamento di stima e reverenza verso una persona che è o si ritiene superiore o particolarmente degna;

2) sentimento di riguardo e di attenzione nei confronti degli altri, che trattiene dall’offendere, dal trattare bruscamente o in modo inadeguato;

3) riguardo, attenzione nei confronti di oggetti, beni e cose.

In tutte queste definizioni si evidenzia come il rispetto porti ad un atteggiamento di stima, di disciplina, nonché di attenzione, cura e delicatezza verso se stessi, il prossimo e i beni.

1.3 Il rispetto per se stessi

È importante comprendere come sia necessario educare i giovani a trovare il rispetto di se, poiché è su tale fondamento che si edifica la costruzione della propria personalità.

Il rispetto è la prima lezione che ogni essere umano dovrebbe assimilare, perché serve prima di tutto, a se stesso. Avere rispetto di se stimola uno sviluppo migliore delle proprie potenzialità, aumenta la qualità delle relazioni umane, privandole di tanta aggressività che spesso, diventa violenza per soverchiare l’altro e credere, solo per questo, di essere migliori o più potenti.

Cosa significa rispetto per se stessi?

Significa entrare nella dimensione dell’amore maturo e della conoscenza di se. Il rispetto ci insegna a prendere coscienza della nostra dignità, a dare valore alla ricchezza del nostro mondo interiore, a non giudicarci né condannarci, ma ad accoglierci con gentilezza, pazienza e amorevolezza.

Chi non ha rispetto per se stesso, non può avere rispetto neanche per il prossimo, nonostante ne abbia tutte le migliori intenzioni. La convivenza con il prossimo infatti, è sempre un inconscio riflesso della relazione con se stessi.

1.4 Strategie educative

Tra permissivismo e autoritarismo occorre scegliere la strada dell’autorevolezza. Questa esige l’impegno a lavorare su di se ancor prima che sugli altri

Lavorare su di se richiede tempo per riflettere, meditare e ascoltare. Richiede silenzio e capacità di pensare.

Vi sono delle strategie educative che vanno sempre contestualizzate, in grado di fornire un minimo orientamento nell’educazione; se attuate, sin dal periodo della prima infanzia, diventeranno un abito mentale che produrrà ordine e disciplina.

Il valore della disciplina consiste proprio nel creare un’abitudine mentale che permette di attuare il comportamento più idoneo al raggiungimento dei propri obiettivi.

Il primo passaggio per esplorare il terreno delle possibili soluzioni ad un problema educativo è attuare la pedagogia dell’ascolto profondo.

Da un punto di vista pedagogico in che modo possiamo ascoltare? L’azione pedagogica più efficace è condurre il soggetto all’interno delle sue risorse realizzative, per far si che possa mettersi in contatto con la ricchezza del suo mondo interiore.

Questa definizione ci porta a una considerazione: oggi abbiamo tanti giovani che sono all’esterno di se e che in virtù di questo estraniamento, non riescono a percepire e a realizzare il senso della loro fede e della loro forza interiore.

Dobbiamo aiutare il giovane ad ascoltare il suo nervosismo, ad accogliere la sua inquietudine, a rimanere centrato nella ricettività del suo mondo interiore.

Se un giovane non viene aiutato nel processo di interiorizzazione, non potrà assumersi la responsabilità della guida, poiché sarà seduto al di fuori della sua automobile e avrà così tutte le ragioni per scaricare il peso del suo malessere all’esterno.

Educare alla responsabilità è far comprendere che non è la situazione a fare di un uomo un eroe o un vigliacco, ma la sua personale e interiore risposta agli eventi. Ciò che avviene attorno a noi o nelle nostre relazioni interpersonali, non è mai tanto rilevate quanto quello che accade “dentro” di noi.

Per ottenere questo processo di interiorizzazione l’adulto dovrebbe in primo luogo, fungere da specchio: “ti trovo arrabbiato”; “mi sembri preoccupata”; “mi dai la sensazione di essere triste”; “hai paura di qualcosa?”.

Sono affermazioni né invasive, né giudicanti, che rimandano all’altro i riflessi del suo mondo interno. Con questa modalità il ragazzo è sollecitato ad ascoltare, a comprendere e a chiarire la realtà del suo mondo interiore.

Se il primo punto è l’ascolto profondo, la seconda strategia consiste nello stimolare l’utilizzo dell’immaginazione creativa, poiché le soluzioni sono sempre dentro di noi.

Bisogna far si che il ragazzo stesso si sforzi di esprimere il maggior numero possibile di soluzioni creative.

Quando un giovane viene stimolato a porsi come attore e non passivo spettatore, metterà in movimento il motore della ricerca creativa e prima o poi arriverà alla giusta soluzione.

Il terzo passaggio sta nel verificare se la soluzione al problema aderisce al principio di realtà. La strategia va contestualizzata, per analizzare se è effettivamente praticabile. Il pensiero logico è una sorta di sentinella sul ponte levatoio che immette nel territorio della realtà: “che cosa potrebbe accadere se decidessi di agire in questo modo?”; “è fattibile attuare il mio progetto?”.

Il ragazzo va aiutato a prendere le misure necessarie, a fare i conti con la realtà, poiché la vita non è come dovrebbe essere, ma è quella che è ed è il modo in cui la si affronta che fa la differenza.

 

2. GLI STILI EDUCATIVI

2.1 Premessa

In educazione davanti a una richiesta, un conflitto o un problema, bisogna saper adottare la migliore strategia e saper offrire la soluzione più adatta. Individuare quali atteggiamenti si sono rivelati più fallimentari è già un buon risultato; come ci insegna l’antico ammonimento di Ippocrate (primum non nocere), per prima cosa bisogna imparare a non fare troppi danni.

Educare ha a che fare con la gestione del potere (l’autorità) e la comunicazione dell’affettività (i sentimenti). La crescita del ragazzo richiede un aggiornamento costante e l’adozione di uno stile flessibile alle diverse situazioni del momento.

2.2 Il principio della situazionalità

Affrontare il tema degli stili educativi può aiutarci a fare un poco di chiarezza nell’intricato labirinto dell’educazione, facendoci intravedere quali strategie adottare per raggiungere l’obiettivo desiderato: saper guidare i giovani verso la migliore attuazione delle loro potenzialità autorealizzative, attraverso lo sviluppo dell’autonomia, della maturità e di una libertà pienamente responsabile.

Uno stile educativo corretto ha, come prima regola, il principio della situazionalità. Ciò significa che non esistono delle ricette metodologiche precostituite, in quanto le soluzioni ci sono, ma sono troppe le variabili che intervengono ad interferire nell’ambiente educativo per poter facilmente codificare uno stile educativo e ridurre così l’educazione in formule risolutive infallibili.

Cosa significa parlare di stili educativi?

Significa poter affermare che vi è una modalità relazionale da parte dell’adulto con il quale egli determina un clima psicoaffettivo, uno stile di vita e un luogo dei valori che possono favorire o bloccare i processi di crescita del ragazzo.

Lo stile educativo detto in sintesi, può creare un ambiente fertile o nocivo ai germi di crescita insiti nella creatura umana.

Sono convinta che l’investimento più intelligente e redditizio sia rappresentato da quello che operiamo su noi stessi. Pretendere di guidare una nave senza aver impiegato del tempo per esercitarsi a conoscerne tutte le potenzialità di navigazione è uno sforzo di volontà che non produce molto frutto.

Sarà facile arenarsi e incagliarsi in qualche punto dove noi stessi non siamo in grado di procedere oltre, in quanto prigionieri di qualche angoscia, paura o senso di inabilità.

Più tempo ed energie investiamo nella nostra crescita interiore e più efficace sarà l’arte di guidare con autorevolezza e maestria la preziosa e insostituibile imbarcazione dell’educazione.

2.3 Il fattore T

Il primo elemento che determina il principio della situazionalità è il fattore T. Con il termine temperamento siamo abituati a intendere lo stile comportamentale di un individuo, ovvero il modo in cui esprime il suo modo di agire. Questo stile fa la sua comparsa molto presto nella vita di un individuo, ha una base biologica ed è abbastanza stabile nel tempo e nelle diverse situazioni.

Il carattere invece, è frutto dell’iniziativa del soggetto sotto l’influsso dell’ambiente.

La personalità rappresenta il culmine del processo di crescita, in quanto unifica gli aspetti biologici del temperamento e quelli psichici del carattere, influenzati dall’ambiente, ma crea anche valori, modelli di comportamento e forme di organizzazione sociale in grado di modificare l’ambiente.

Il termine temperamento si riferisce a come si reagisce e non al che cosa fa scatenare la reazione. Ad esempio un neonato che piange non è un aspetto del temperamento. Il temperamento si rivela nell’intensità e nella frequenza del pianto, o con quale facilità o meno può essere consolato. Come per il pianto questo discorso vale per le altre funzioni biologiche più importanti della prima infanzia, come l’alimentazione, lo sviluppo psicomotorio e il sonno.

Il temperamento ha una base biologica, ciò non significa che è ereditato, ma vi è accordo sul fatto che ha una forte base biologico-costituzionale in cui può, in diverse misure, intervenire una parte di ereditarietà; nonostante questo, il modo in cui è espresso può essere modificato dalle esperienze di vita vissute dal bambino.

Il temperamento è moderatamente stabile nel tempo e attraverso le varie situazioni di vita. Anche se stabile, non necessariamente è invariabile. L’espressione del temperamento può essere influenzata da fattori biologici, maturazionali e contestuali.

Applicare uno stile educativo è un’opera sartoriale: ogni metodo è come un vestito che va adattato alla morfologia psicologica del singolo. Il temperamento definisce le primarie caratteristiche di un’individualità nascente e proprio per questo va anzitutto conosciuto e compreso, per poi essere intelligentemente smussato nei suoi aspetti negativi e valorizzato in quelli positivi.

2.4 Le quattro regole per il fattore T

Da questa prima prospettiva si evidenzia come una corretta pedagogia derivi dall’esigenza che i metodi dell’educazione siano compatibili con i temperamenti dei ragazzi i quali, come è stato precedentemente sottolineato, sono biologicamente stabiliti.

Gli educatori non possono cambiare i tratti ereditari del bambino; da ciò deriva la saggia considerazione che un’intelligente linea educativa dovrebbe essere attuata tenendo presente la natura del temperamento costituzionale.

Vi sono quattro indicazioni che ci possono far comprendere come utilizzare in modo positivo le valenze dell’aspetto temperamentale:

1) il miglior approccio pedagogico è di esercitarsi nell’osservare le reazioni comportamentali del ragazzo;

2) bisogna evitare di punire il ragazzo per il suo stile temperamentale;

3) occorre valorizzare i comportamenti positivi, perché ciò rafforza i tratti vincenti della dimensione temperamentale e tende a non stimolare quelli più deleteri;

4) bisogna impegnarsi ad accettare e valorizzare il giovane per le caratteristiche che esprimono il suo temperamento. Da tale atteggiamento deriva il senso di accettazione e di autostima.

Il fattore T è uno degli elementi che concorre a definire le differenze individuali ma, è bene precisare, che non è l’unico; anche l’ambiente (relazionale e socioculturale) incide in modo notevole sulla costruzione di una individualità.

2.5 Le caratteristiche della persona adulta

Lo stile educativo rivela molto di noi, soprattutto a livello non verbale (che secondo le ricerche rappresenta il 93% della comunicazione interpersonale).

L’autorevolezza esprime lo stile migliore perché irradia autorità.

Quali sono le tre conquiste dell’età adulta che permettono di sviluppare uno stile educativo altamente autorevole?

l’autonomia; la maturità; l’equilibrio.

L’autonomia. Tutto lo sviluppo e la crescita dell’individuo può essere visto come un graduale passaggio dalla dipendenza verso l’autonomia, che diviene completa quando dalla condizione infantile si diviene adulti a tutti gli effetti.

La persona realmente adulta è un soggetto e oggetto di diritti, capace di lavorare e di avere rapporti paritari con gli altri, improntati sulla legge del rispetto.

Ognuno di noi, nel corso della sua vita deve compiere un percorso che lo porta ad affrancarsi da una situazione di dipendenza, sia fisica che mentale, nei confronti di altri individui che sino a quel momento hanno svolto una funzione di guida.

Si diventa autonomi mano mano che le forze interiori si spostano dalla fase centripeta (io sono al centro del mondo) alla fase centrifuga (io sono parte del mondo e mi muovo verso di esso portando il mio contributo).

Una persona pienamente autonoma sa prendere decisioni e assumersi responsabilità. Il ragazzo avverte il livello di autonomia raggiunto da chi si prende cura di lui e poiché ha bisogno di sicurezza, si lascerà guidare più volentieri da chi gli trasmette tale sensazione.

La maturità. La persona matura è come un albero che dona generosamente i suoi frutti, in quanto ha saputo portare a termine il suo processo di crescita in termini generativi. Essa si rivela nell’aver realizzato le sue potenzialità. Il cammino della maturità si muove dalla paura all’amore, dall’ignoranza alla conoscenza, dalla sofferenza alla gioia.

La maturità è sinonimo di saggezza spirituale. Chi porta a maturazione il suo sviluppo personale permette al prossimo di incamminarsi sulla stessa strada.

Il ragazzo sente la maturità dell’educatore e a questa si affida per essere guidato e sostenuto nel suo sforzo di crescita.

La persona matura sa risvegliare le potenzialità di intelligenza e la capacità di amare del ragazzo, secondo un senso evolutivo e sacro dell’esistenza.

L’equilibrio. L’arte di restare in equilibrio è forse l’obiettivo più impegnativo per divenire persone autorevoli.

Rimanere in equilibrio significa aver trovato un proprio centro di gravità su cui riposare e far leva, come se nel nostro interno vi fosse un baricentro capace di renderci solidi, fermi e stabili ma duttili, flessibili ed elastici al tempo stesso.

Si rimane in equilibrio una volta che si sono ben innestate le radici della nostra identità. L’equilibrio ci consente di rimanere nella culla della pace interiore. Restare in equilibrio è abitare con gioia in se stessi.

Per trovare l’equilibrio bisogna imparare a prendersi cura di se stessi. Ad esempio chi educa viene spesso provocato dai comportamenti infantili e immaturi. Perdere il proprio autocontrollo emotivo significa essere ancora succubi di reazioni primarie e impulsive, tipiche della prima infanzia.

Un adulto con reazioni emotive infantili non può educare all’alfabetizzazione emotiva e affettiva, perché lui stesso è privo di tale linguaggio. L’equilibrio ha il potere di mettere ordine nel disordine altrui e di mettere a fuoco con chiarezza i dati della realtà.

2.6 L’autoritarismo

Quando un adulto abusa del proprio potere sconfina nel terreno dell’autoritarismo. Lo stile educativo basato sull’autoritarismo si manifesta con una tendenza a:

imporre agli altri le proprie opinioni; a comandare esigendo un’obbedienza assoluta e a non tollerare deviazioni rispetto a una propria visione della vita.

Lo stile autoritaristico è un modello segnato dal dispotismo. L’atteggiamento dispotico non ammette discussioni, ma cieca obbedienza ai propri voleri e credenze.

Una prima forma si manifesta quando un educatore non accetta il dialogo e il confronto rifiutando a priori qualsiasi ipotesi di critica sul suo operato. Alcune frasi possono aiutare a capire la presenza di tale stile: tu non capisci niente, sei troppo immaturo: quando crescerai comprenderai; non osare contraddirmi.

Questo rifiuto del dialogo procura un forte rancore o un atteggiamento di paura e di sudditanza, davanti a qualsiasi figura investita di autorità.

Una seconda forma più sottile e molto meno evidente di stile autoritario si rivela quando un giovane è costretto a passare la maggior parte del suo tempo nella ristretta cerchia delle relazioni parentali.

Se la famiglia è fortemente chiusa in se stessa e poco aperta alla socializzazione, vi sarà una conseguente forma di isolamento sociale che sfocerà in una educazione di tipo dispotico.

Una famiglia che non accetta il tollerante e democratico confronto con la diversità dei modelli culturali tenderà a imporre il suo credo in una modalità ipnotica, ma senza costruire nel ragazzo le solide fondamenta dell’adesione interiore.

La formazione della coscienza avviene nel momento in cui si esercita il proprio spirito critico e si viene educati a saper leggere con realismo il contesto storico di cui si fa parte.

Un ambiente chiuso è come se divenisse una piccola setta. Questo fenomeno di dispotismo ideologico obbliga il bambino ad assumere le credenze-convinzioni dei genitori e a sentirsi terribilmente in colpa nel momento in cui dovesse rigettare anche una minima parte degli insegnamenti ricevuti.

Una tale educazione può generare nell’adolescenza, un totale rigetto di tutti i valori così rigidamente appresi.

 

2.7 Il permissivismo

 

Il permissivismo è il non esercizio della propria autorità. Significa che tutto è concesso per l’abolizione delle norme etiche, morali e religiose.

Il permissivismo è un atteggiamento che manca di polso nei confronti di azioni e comportamenti eticamente riprovevoli e moralmente sconvenienti.

Un educando che cresce senza regole e non conosce alcun limite, può rimanere vittima di un delirio di onnipotenza che lo

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