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Teologia e sinodalità

Di José Enrique Oyarzún Rettore magnifico del Pontificio Ateneo «Regina Apostolorum»
  Da ottobre 2021 la Chiesa ha intrapreso un cammino dedicato alla sinodalità. Trattandosi di un processo che abbraccia tutta la Chiesa, anche i teologi sono chiamati a partecipare e a vivere questa “dimensione ecclesiale”. Il teologo deve partecipare attivamente, mettendo le sue conoscenze e le sue competenze specifiche al servizio del popolo di Dio. Ciò deriva dalla natura e dalla missione della teologia, che nasce e si sviluppa nella comunità dei credenti. Un primo servizio imprescindibile è chiarire, sostanziare e spiegare il termine sinodalità, poiché c’è chi ancora lo considera ambiguo e confuso. Un passo importante in questa direzione è stato compiuto dalla Commissione teologica internazionale nel documento del 2018 in cui spiega la distinzione tra sinodo e sinodalità, offrendo — per quest’ultimo termine — «un’attenta messa a punto teologica». È uno sforzo necessario per evitare incomprensioni e abusi che fanno della sinodalità una “moda” passeggera, banalizzandola. In questo senso, negli ultimi mesi è comune ritrovare ovunque la parola “sinodalità”, dimenticando che il suo utilizzo spesso eccessivo e inappropriato può provocarne una reazione di rifiuto o addirittura di negazione. Come ha riconosciuto la stessa Commissione teologica, sinodalità è un sostantivo coniato negli ultimi decenni, utilizzato in diversi ambiti, come un “nuovo linguaggio” o ancor meglio un linguaggio innovativo, soprattutto se inteso come “dimensione costitutiva” della Chiesa (cfr n. 4). Lo stesso Papa Francesco ha sentito la necessità di precisare e indirizzare — prescindendo da quanto aveva scritto nel suo discorso del Pre-Sinodo del 9 ottobre — dicendo: «Confermo che il sinodo non è un parlamento, che il sinodo non è un’indagine sulle opinioni». Chiarire e motivare rigorosamente i termini aiuterà non solo ad argomentare in maniera oggettiva le possibili discussioni e incomprensioni e anche a incanalare meglio la ricchezza che potrà scaturire dalle diverse riflessioni e proposte. Le necessità vanno oltre il significato e chiarimento “terminologico”. Occorre migliorare ad esempio la comprensione teologica della partecipazione e il rapporto tra sinodalità e autorità; menzione speciale merita l’approfondimento del rapporto tra teologia e sensus fidei fidelium. In virtù del fatto di intendersi parte di un popolo con un’origine e una meta comuni, indirizzerà il proprio modo di fare teologia. In questo contesto, un suggerimento concreto è quello di attuare due dei criteri per il rinnovamento degli studi ecclesiastici offerti da Papa Francesco nella costituzione Veritatis gaudium: il dialogo a tutti i livelli e la creazione di reti. Il dialogo, inquadrato nella ricerca della verità, è condizione necessaria per vivere la sinodalità. Nelle parole di Benedetto XVI , «la verità è lógos che crea dia-logos e, quindi, comunicazione e comunione» (Caritas in veritate, 4). Per la stessa ragione, quando si fa teologia, il teologo dovrebbe cercare il dialogo a tutti i livelli. La specializzazione è un punto di partenza necessario, ma rischia di diventare sterile se non è aperta al dialogo con altre specializzazioni, scuole, discipline e altre culture. Lo sviluppo di questa competenza professionale gli consentirà di essere “promotore della sinodalità”, dialogando con diverse persone compresi tutti membri della Chiesa . La creazione di una rete di collaborazione è dunque un’applicazione del camminare insieme e di portare avanti una missione comune. Le facoltà teologiche, mettendo in campo specifiche competenze, possono contribuire alla missione evangelizzatrice della Chiesa, garantendo un impatto maggiore se collaboreranno tra loro. Numerose sono le istituzioni ecclesiastiche e cattoliche nel mondo che, creando sinergie, collaborano e sono chiamate a trovare sempre nuove vie «per far giungere la proposta del Vangelo alla varietà dei contesti culturali e dei destinatari» (Evangelii gaudium, n. 133).

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