Missioinari

Testimonianza: la mia esperienza missionaria

di: P. Adrián Canal, L.C. In questa missione ho toccato con mano il paradosso di chi vive una vita povera: mancano tante cose, ma sono felici.  Ho collaborato con gioventù missionaria, in un gruppo di circa 180 persone tra ragazzi e ragazze dal centro di Messico (Città del Messico, Toluca e Querétaro). Il parroco ha affidato a un confratello e a me il compito di seguire tredici villaggi nel cuore della Sierra Madre Orientale nello Stato di Puebla. Per arrivare dal paese base al più lontano ci voleva più o meno un’ora e mezza in macchina. Le strade sono di terra, piene di voragini, e a volte così strette che due macchine andando in direzioni opposte non possono incontrarsi; sono strade piene di imprevisti e rischi: con la pioggia e la nebbia le strade diventano molte pericolose, ed il rischio precipizi e caduta di massi è molto diffuso.  Tuttavia, lo spettacolo della natura è semplicemente affascinante.  Gran parte della settimana santa sono stato in una pick up girando da un villaggio all’altro.  La gente da queste parti vive in grande austerità. In quella regione mancano le infrastrutture di base:  strade sicure, protezione delle case contro la pioggia e contro gli insetti, assenza di acqua calda, utilizzo del fuoco per cucinare, nei paesi più grandi c’è una linea telefonica per tutto il villaggio e quando qualcuno riceve una chiamata viene annunciato col microfono, i telefoni fissi e cellulari appartengono ai ricchi o a chi è riuscito a trovare un lavoro nelle grandi città. Ma sono ricchi di sentimenti: l’unione familiare è molto forte, la gente è davvero generosa, sono disposti a mettere in comune  quel poco che hanno, per vivere come la vedova del vangelo. Le persone hanno la voglia di vivere, di fare figli, di vivere la vita. Il lavoro dei missionari e la loro testimonianza sono importanti per offrire accoglienza a chi decide di avvicinarsi a Dio . Il missionario deve avere una buona preparazione come esempi e come portatori della dottrina cattolica. L’accoglienza che le comunità riservano ai missionari è di grande apertura, quando i missionari arrivano nel villaggio viene chiesto loro di visitare casa per casa invitando gli abitanti a partecipare alle celebrazioni e a riflettere sui contenuti della Settimana Santa. I dialoghi che si istaurano con i missionari sono coinvolgenti spesso le persone aprono i loro cuori ai missionari.  Ho osservato i missionari e mi sono reso conto che le motivazioni che li spingevano a questa esperienza erano le più diverse: fare un piacere alla mamma o accompagnare un amico, trovare la o il fidanzato, ma i molti avevano l’obiettivo di far conoscere Gesù. Molti dei ragazzi sono stati instancabili. I giovani adolescenti hanno una grandissima generosità, quando vengono motivati rispondono dando il meglio di loro; né il caldo, né gli insetti, né la stanchezza, né la durezza di alcuni incontri sono riusciti a scoraggiarli. Li ho visti, dopo lunghissime e faticose giornate, continuare col sorriso a correre dietro a varie decine di bambini del catechismo. Grazie alla loro opera non è stato raro il caso di persone che si sono riavvicinate ai sacramenti dopo tanto tempo..  La missione del sacerdote è portare la croce in espiazione per i propri peccati e per quelli del popolo;  specialmente nelle confessioni si entra in contatto con il volto della sofferenza e si tende una mano verso l’accoglienza fraterna. Nell’ ascolto si percepisce quanto la gente soffra per le proprie mancanze ma anche per le croci che provengono dagli altri. Quante spose di mariti alcolizzati, quante ragazze che sono disprezzate dal papà per il semplice fatto di essere donna e come tale non contribuire all’economia famigliare ma rappresentare una spessa da pagare; quanti bambini di menti brillanti costretti ad abbandonare gli studi perché devono andare a lavorare per guadagnarsi il pane; quanti vengono trattati male dai padroni o vengono retribuiti male per il loro lavoro. Ho visto e ascoltato: prepotenze, violenze, sopraffazioni. L’ascolto di così tanta sofferenza può spingere allo scoraggiamento e a domandarsi come mai Dio permetta queste situazioni. E così ti impegni per  lenire quei dolori ed asciugare quelle lacrime. Il venerdì santo, ho avuto l’esperienza di portare la croce alla Via Crucis in uno dei paesi dove sono andato. Non sono un tipo a cui piace il protagonismo, preferisco fare quello che devo fare e sparire e portare la croce davanti a tutto un paese può sembrare un gesto di esibizione. Tuttavia, ho visto in questo invito la volontà del Signore. “Tu sacerdote devi portare la croce ed espiare i tuoi peccati. Devi portare la croce come ha fatto Gesù per i suoi. Devi essere un segno vivo dell’amore che Dio ha per ciascuno di loro. Devi farli capire che Dio non è lontano dai loro dolori ma gli condividi”. In quel momento ho sentito il peso di quel legno. Non era una croce esageratamente pesante, ma per uno che passa la maggior parte del giorno dietro una scrivania a leggere i filosofi moderni un peso così non è uno scherzo! In quei momenti ho provato una strana gioia: nonostante la croce pesasse, ti girasse  un po’ la testa per il digiuno, facesse molto caldo soprattutto per me che ero vestito tutto di nero, provai  una felicità profonda che son sicuro ha avuto anche il Signore quando portava la croce per la nostra salvezza. Mi sono sentito identificato con il Redentore. Ho unito quella piccola sofferenza a quella che Lui ha consumato fino alla fine. Il Signore mi ha fatto capire che vale la pena soffrire tutta la passione per amore delle anime, non solo in quei pochi minuti del venerdì santo ma durante tutta la vita del sacerdote: non importa sacrificarsi, se quel sacrificio sarà un beneficio per quelli che Lui ama al punto di morire.  E ora mi viene la voglia di tornare. Io ho fatto diversi anni di servizio pastorale in Italia. Ho aiutato parroci sia nel Veneto che in Sicilia. Ma andare da queste parti è magico, la gente, i paesaggi, le testimonianze dei missionari, anche le zanzare che ti mordono, la difficoltà di muoversi in quelle strade piene di polvere ti fa apprezzare la vita e le cose che hai. Dopo quest’ esperienza guardo la vita in modo diverso.  Tante volte mi sono sentito come uno che in missioni ha ricevuto molto più di quanto ho potuto dare. Il vero tesoro che ho portato a quelle persone non è mio ma di Dio. In quei villaggi il sacerdote è considerato come un inviato da Dio, un ministro sacro. Il dono più grande che ho ricevuto in queste missioni è stata l’incoronazione con una collana di fiori, che vuol dire che sei stato accettato nella comunità.  Ringrazio tanto Dio per questa opportunità e spero di tornare l’anno prossimo. Ringrazio la gente del municipio di Tlaola per la loro generosa ospitalità e per la saggezza che ho imparato da loro. 

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